Il giorno della fine non ti servirà l’economia

La voce del padrone

Parafrasando C. Schmitt, direi: servo è chi prolunga lo stato di emergenza. Draghi non è un sovrano ma un servo, Cossiga lo definì “il vile affarista”, troppa grazia, ancora non sapeva che doveva diventare “il vile esecutore”, l’uomo della provvidenza delle élite finanziare sovrannazionali che, manu militari, avrebbero occupato le istituzioni portando i punti dell’Agenda globalista, espressa egregiamente negli articoli del World Economic Forum, in un parlamento ormai completamente esautorato da ogni potere e ridotto a simulacro, simbolo vuoto di una inesistente democrazia.

In questo lavoro certosino è stato affiancato da pseudo esperti aggregati sotto il pomposo nome di Comitato Tecnico Scientifico che, seguendo lo schema della neolingua pandemica, non ha nulla di tecnico, né, tantomeno, di scientifico: un insieme di persone, specializzate nelle più svariate discipline, che di nessuna utilità potrebbero essere nel fronteggiare un’emergenza sanitaria ma che, invece, diventano fondamentali per sdoganare il pensiero magico-scientifico che deve essere capillarmente diffuso.

Chi è al vertice? Chi guida i passi di Draghi?

Sbrigativamente, qualcuno legato ad una visione del mondo appartenente ad un’altra era, potrebbe rispondere l’Europa! Risposta inesatta, il vincolo esterno europeo è un tramite, una cinghia di trasmissione, il vertice è economico ma, poiché parliamo di Stakeholder¹, portatori di interesse, costoro diventano agenti a tutto campo con una visione, del loro mondo, che è anche e, soprattutto, sociale; la politica, nel senso nobile a cui noi ci riferiamo, operare scelte per la polis, è altra cosa.

Per chiarire un po’ e semplificare molto, quando parliamo di finanza transnazionale parliamo di grandi compagnie informatiche, da Apple ad Amazon, Microsoft ma anche Johnson&Johnson, aziende che hanno a disposizione e gestiscono tutti i nostri dati, personali compresi quelli medici, nonché tutte le informazioni che ci riguardano, i nostri gusti, i nostri interessi, le nostre interazioni, i nostri legami… tutta la nostra vita è nei loro data base.

Ma non è tutto, queste compagnie gestiscono e veicolano comunicazione, ovvero, attraverso i loro mille canali, propagano il pensiero dominante, un pensiero unico in base al quale si decide il socialmente corretto, ciò che è falso e quel che deve essere vero: pensiamo alle rivisitazioni storiche fatte dalle diverse serie tv Made in USA, o alle pubblicità ma, d’altro canto, anche ai blocchi di profili social, agli oscuramenti di pagine non perfettamente allineate… una censura efficiente, a tutto campo, unita ad una, altrettanto efficiente, diffusione di quel che deve entrarci in testa, giorno dopo giorno, come goccia che scava la roccia.

Queste compagnie sono i megafoni ed i censori, ma sono una parte di un organismo articolato.

Aggiungiamo, alle aziende sopracitate, altre mega-compagnie, leader in diversi settori, per esempio quello alimentare, un altro pilastro del dominio, come Nestlé, ABF, ma anche Cargill, che detiene l’80% del commercio cerealicolo mondiale, e che monopolizzano il mercato mondiale grazie alla creazione di sciagurati accordi come il WTO, NAFTA, GATT, CAFTA, che obbligano i paesi aderenti ad assurde regole che ne svuotano ogni autorità, riducono ogni possibilità di sviluppo interno ed il cui fine principale è quello di aumentare la dipendenza dalle multinazionali, il famoso Mercato Globale. Dulcis in fundo, le aziende farmaceutiche, che, peraltro, partecipano, in varia misura anche alle altre sopra citate, Johnson & Johnson, Pfizer, Novartis, Astra Zeneca…

Andando a vedere nel dettaglio scopriamo che gli interessi, di tutti questi giganti finanziari che sembrerebbero operare in campi diversi, si intrecciano, tramite partenariati, quote ecc., basti pensare a Black Rock e Vanguard, in un labirinto di connessioni che le trasformano in enormi e potentissime entità corporative sovrannazionali che, letteralmente, decidono non solo i processi economici ma, soprattutto, tramite i loro fedeli servi, quelli sociali ed amministrativi da imporre, sostituendosi, de facto, alla sovranità degli stati nazione che, totalmente esautorati, devono scomparire perché ormai obsoleti, un inutile intralcio ad una tecnica di governo globale che nulla ha più di politico.

Questi potentati economici diventano veri e propri centri di governo, amministratori e tutori dei popoli, a livello mondiale.

Mondializzazione, Europa ed altri vincoli: dissertazioni sul governo tecnico e sulla natura delle sue scelte

Nello specifico italiano, l’introduzione del sistema maggioritario, la riduzione del numero dei parlamentari e l’elezione di qualsiasi essere umano che passasse per strada, mi riferisco al concetto dell’”uno vale uno” di grillina memoria, sono stati fondamentali grimaldelli per compiere l’opera di depauperizzazione del capitale politico e svilire la politica stessa fino a farla diventare accessoria e farla percepire, ai cittadini, come inutile, dannosa, qualcosa che va tolto dall’ordinamento dello stato italiano.

Lentamente ma inesorabilmente dovevamo arrivare ad essere convinti che: ci pensano i tecnici!

La politica va eliminata, i cittadini devono essere apolitici, devono pensare ad altro, anzi devono non pensare, meglio, devono pensare ciò che si è deciso che pensino ed avere le opinioni che si è deciso debbano avere, quelle che vengono diffuse.
A questo servono i mass media: reiterare un concetto, in modo ossessivo, fino a farlo entrare in testa, ripeterlo in ogni programmazione quotidiana, rimbalzarlo nei giornali, infilarlo in pubblicità, film e serie televisive, uniformando il linguaggio.

Fare un piccolo chiarimento è d’obbligo per proseguire nel ragionamento.

Intanto dobbiamo sgombrare il campo da un fraintendimento molto comune, dato che si è persa la semantica politica e, di conseguenza, i rapporti tra significati e significanti si sono confusi: partitico e politico sono due concetti totalmente diversi che, troppi, erroneamente, sovrappongono.
Da questo equivoco concettuale ne deriva, conseguentemente, un altro altrettanto comune, infatti una cosa è non aver fiducia negli attuali partiti, concetto per noi lapalissiano ed assolutamente sottoscrivibile, altro è non aver più fiducia nella politica.

Quest’ultima affermazione è priva di senso sia da un punto di vista formale che teorico: ogni comunità di esseri umani ha bisogno di operare scelte e questo banale concetto si chiama “politica”, ma entriamo più nel dettaglio.

La politica non è esattamente sovrapponibile alla gestione amministrativa di uno stato e confondere i due piani è un errore concettuale oltreché linguistico.

In parlamento, oggi più che mai, non siedono dei politici ma degli amministratori che condividono la stessa visione neoliberale, declinata in modo leggermente diverso, il che fa, de facto, svanire il concetto di opposizione, dissolvendosi l’opposizione, siamo di fronte ad un unico blocco sistemico in cui scompare anche l’illusione del bipolarismo, così come storicamente inteso secondo criteri analitici novecenteschi.

Alla luce di quanto affermato precedentemente, i blocchi possono essere solo due: sistemico, quello che va da neoformazioni come “L’Alternativa c’è” o “Italexit” a quelli consolidate come “Fratelli d’Italia” o “Lega”, ed anti-sistemico, ancora tutto da fare.

Perché consideriamo sistemiche anche quelle forze partitiche che si auto dichiarano opposizione? Semplicemente perché non lo sono: perché hanno sostenuto il governo Conte 2, perché ne hanno appoggiato la narrazione, perch é hanno avallato la proclamazione dello stato di emergenza, perché hanno sostenuto tutti i DPCM, hanno vietato le autopsie, perché hanno permesso le bare di Bergamo, i confinamenti, la DaD, i banchi a rotelle… tutti i passi che hanno portato all’istaurarsi di questo regime totalitario. “per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”².

Alcuni non hanno buona memoria, altri sono compiacenti, altri opportunisti, altri ancora buonisti o possibilisti, noi, al contrario vogliamo essere realisti: i colpevoli, nessuno escluso, devono pagare per tutto quello che hanno deciso e permesso, per convenienza o incompetenza, poco importa. Le loro scelte vili ed asservite hanno provocato morti, messo in ginocchio un paese, distrutto il tessuto sociale, instillato il terrore, dilaniato i rapporti, contribuito alla svendita del nostro patrimonio.

Come si fa anche solo a poter immaginare di allearsi con questi criminali? Come si fa a poterli ritenere degli interlocutori, dei possibili alleati?

Noi non possiamo, la nostra dignità intellettuale ce lo impedisce: sarebbe difficile spiegare ai cittadini, che li hanno puniti alle elezioni amministrative, che i loro carcerieri saranno la loro salvezza; i sepolcri imbiancati li lasciamo volentieri ad altri più dotati equilibristi, Parigi, non sempre, vale una messa.

Non siamo puristi o settari, siamo realisti e vogliamo sgombrare il campo dalle carogne.

La politica, come noi la intendiamo, è altro dallo squallido gioco delle parti a cui assistiamo: nasce da un’ideologia, da una visione del mondo, è analisi del reale, scelta metodologica di interazione, proposizione, diffusione di idee, non è la “scienza dell’opportunismo ed arte del compromesso”, come scriveva il musicista F. Liszt, ed anzi, rivendicare quest’ultima affermazione vuol dire appiattirsi su una concezione neoliberale che rappresenta l’antipolitica per eccellenza.

Politica non è un sinonimo di governo.

Ed eccoci al nodo nevralgico: perché un governo tecnico non è politico.

Intanto in Italia si sono susseguiti un numero alto, ma calcolabile e verificabile, di governi che, di fatto, erano tecnici e questa continuità ha fatto sì che ci abituassimo all’espulsione della scelta politica dall’idea di governo, l’eccezione è diventata regola senza confermarla.

Un governo “politico” dovrebbe essere il risultato di una consultazione elettorale che porta in parlamento le forze partitiche scelte, dai cittadini, mediante il voto, sulla base di programmi precisi che ne delineano l’azione; questo processo dovrebbe creare un patto d’intesa tra elettori ed eletti ed un rapporto basato sull’assunzione di responsabilità, da parte degli eletti, tramite un vincolo di premio/punizione: la mancata attuazione del programma elettorale, sulla base del quale si è avuto il voto, dovrebbe essere, normalmente, punita dalle urne.

Quanto avvenuto recentemente è la conferma di questo vincolo: nelle ultime elezioni nazionali, il premio delle urne è andato a due forze percepite come anti sistemiche, lo svolgere degli eventi ha dimostrato che il programma e le promesse preelettorali sono state totalmente disattese, le successive elezioni amministrative hanno sancito la punizione di quelle stesse forze attraverso la perdita di consenso.

In tale contesto le elezioni diventano la cartina al tornasole delle azioni politiche che le forze partitiche di governo portano avanti, tramite scelte, per il bene dei cittadini.
Questa deve essere la base di un qualsiasi governo politico: amministrazione della res publica per conto dei cittadini e finalizzata al loro bene. Questa è la Politica come dovrebbe essere, quella che dovrebbe costituire il capitale ideologico di ogni essere umano, diversa, anzi proprio all’opposto degli intrighi grotteschi ed opportunistici a cui ci siamo abituati.

Il presidente del consiglio di un governo tecnico non è espressione di forze partitiche, non ha nessun rapporto con i cittadini, non si assume alcuna responsabilità di fronte a nessun elettore, non deve render conto alla popolazione delle scelte che effettua. Un governo tecnico è composto sempre con la connivenza di parlamentari che abdicano al loro mandato ed è presieduto da qualcuno estraneo alle dinamiche parlamentari.

Un tecnico, presidente del consiglio, è evidentemente, espressione di coloro che vogliono che il paese venga pilotato lungo una rotta pre/determinata, mediante scelte precise che non saranno mai operate per il bene del paese, quindi dei cittadini, perché non è questo il fine; nello specifico, queste scelte verranno assunte al solo scopo di facilitare gli interessi di quella élite finanziaria sovrannazionale che ha precise finalità da perseguire che non possono, data la loro natura, coincidere, in alcun modo con quelle di uno stato sovrano.

Si può polemizzare, superficialmente, che è sempre stato così. Sarebbe una banalizzazione, non un’analisi articolata.

La situazione economica e, di conseguenza, sociale, pre Unione Europea era totalmente diversa: il vincolo esterno era di carattere sociale ed il ruolo di partiti come il PCI e dei sindacati era la materializzazione plastica di questo vincolo.
I partiti erano portatori delle diverse istanze interne al paese, in una dinamica di interrelazione, sebbene di facciata; il capitalismo ancora, fondamentalmente, nazionale aveva esigenze specifiche ed è su queste esigenze che si è modulata la società con la controparte impegnata a contenere il dissenso di massa, attraverso regolamentazioni, per esempio quella del diritto di sciopero, ed incamerarne le rivendicazioni al fine di smorzare e depotenziare il conflitto sociale.

Ma tutto avveniva nell’alveo parlamentare di forze elette, scelte, il “bene” era quello di una parte del paese, quella che definiremo “borghesia”, ma, proprio per limitare il malcontento, ancora si poteva pensare ad alcune forme di stato sociale non totalmente privatizzato.

Con l’ingresso nell’Unione Europea, il parlamento ha subito un cambiamento radicale nella sua composizione, piano piano siamo entrati nell’era della mondializzazione, o globalizzazione che dir si voglia, e la finanza sovrannazionale ha iniziato ad insinuarsi nelle istituzioni anche, e soprattutto, grazie alla Santa Unione, in tal modo le decisioni prese a Bruxelles, trattati e direttive, sono diventate il nuovo vincolo esterno.

Le istituzioni, ed in primo luogo il parlamento, sono diventate un puro orpello, un mezzo di trasmissione di decisioni prese altrove che dovevano essere solo ratificate, per tale scopo non servivano più i partiti tradizionali, che venivano ancora percepiti dalla popolazione in senso dialettico: sinistra/destra, maggioranza/opposizione.

La spallata finale è stata data dalla creazione a tavolino di una forza partitica che doveva essere percepita come antisistema, creata dal basso ed aperta a tutti: l’operazione Movimento 5 stelle è stato il capolavoro delle élite sovrannazionali che hanno dato forma ad un potente contenitore del dissenso per poi ammutolirlo e renderlo inattivo, innocuo, riempiendo il parlamento di inetti facili da indirizzare.

Quindi, prima della UE e della mondializzazione, bastavano i soli parlamentari formati nelle scuole di partito, a portare avanti il lavoro di rappresentanza di interessi di una parte del paese, dopo, al contrario, questo non è stato più possibile, ed oggi, i soli parlamentari formati, per seguire una precisa visione del mondo, sono quelli del Partito Democratico, gli altri, dalla estrema sinistra alla destra, passando per la massa informe dei Cinque stelle, compresi coloro che ne sono usciti, svolgono la sola funzione di frenare ed intrappolare il dissenso.

Facciamo ulteriore chiarezza: gli attuali parlamentari, non sono assolutamente atti a rappresentare degnamente le élite, possono solo servirle, convenientemente, svolgendo il loro ruolo di obbedienti esecutori istituzionali, per dare ai cittadini l’idea che esista ancora una parvenza di democrazia. Il vero rappresentante, portatore degli interessi delle élite sovrannazionali, è il presidente del consiglio, dalle élite stesse designato.

In questa piramide del potere, al vertice ci sono le élite finanziare sovrannazionali a cui accennato sopra (il Signore), sotto organismi internazionali, compresa l’Unione Europea (i Vasalli), più in basso i rappresentanti di stato (Valvassini e Valvassori), poi i servi, i parlamentari.
Questo schema piramidale si adegua perfettamente al concetto di Stakeholder Capitalism disegnato da Schwab: denominare i sotto-posto, finanche i servi, “detentori di interessi” rende l’idea della partecipazione, nella neolingua pandemica, e coloro che sono semplici passa carte del potere, assumono, anche se solo verbalmente, un ruolo attivo.

Siamo nell’ambito del socialmente corretto ed è quindi normale una ricerca terminologica che non sia offensiva e servi, francamente, potrebbe esserlo, mentre “detentori di interessi” no.

Ora è chiaro che, in una situazione come quella attuale, il capo di governo non eletto, non gode, necessariamente, del supporto della popolazione che, piuttosto, lo subisce, ovvero non è assolutamente certo che le scelte che deve fare, per conto delle élite, siano condivise dai cittadini, questo perché gli interessi delle élite sovrannazionali, di cui è portavoce, non possono in alcun modo coincidere con quelle della stragrande maggioranza della popolazione.

Inoltre, poiché questa dinamica, nello specifico, si unisce alla profonda crisi sistemica in atto, una tale forma di governo richiede, gioco forza, l’attuazione di forme di controllo sulla popolazione più stringenti, i vecchi meccanismi di controllo sociale non sono più efficaci, ne servono di nuovi.

La messa in atto di tale forma di coercizione è sotto i nostri occhi, se solo sapessimo guardare oltre la spessa cortina fumogena, messa in atto dal sistema, che fa sì che un problema politico, quindi economico e sociale, sia presentato come una questione esclusivamente medico-sanitaria.

Viste da tale prospettiva, molte delle misure prese, a partire da quando venne formulata la dichiarazione dello stato di emergenza, assumono un’altra dimensione: durante il primo confinamento, come sarebbe possibile spiegare, da un punto di vista sanitario, il divieto, nei supermercati di vendere materiale di cancelleria ma non, per esempio pelati o scatolame?

I negozi erano chiusi, come scuole ed università, ma gli studenti erano in DaD e per loro quel materiale era di prima necessità.

Durante il secondo confinamento, come si può dare una giustificazione medica alla chiusura dei ristoranti, che erano solo da asporto, mentre si poteva tranquillamente sedersi e consumare un pranzo o una cena in Autogrill?
Come si è potuto accettare il divieto di uscire dopo le 22:00 giustificato su base scientifica?

Questi sono solo alcuni esempi preclari di costrizioni, divieti ed obblighi che nulla hanno di misure sanitarie credibili, perché assolutamente contraddittorie, prive come sono non solo di fondamento “scientifico” ma persino di una minima valenza logica, è allora evidente che, se non hanno alcun valore scientifico, sono esclusivamente misure amministrative finalizzate al controllo ed alla coercizione, ergo assumono un carattere politico e come tali, non possono che essere contrastate in modo politico.

Questo è il punto nodale: chiunque si limiti ad analizzare la situazione servendosi di parametri sanitari, non ha assolutamente presente la realtà e non ne ha compreso la complessità.

La sola risposta seria possibile è politica, la contro-narrazione che deve essere fatta, di conseguenza, non può che essere politica: non servono dati, prove e controprove, non serve il dibattito medico, per altro a volte, estremamente cialtronesco ed inaffidabile, serve un’analisi politica che tragga conseguenze politiche e produca soluzioni politiche, il Che fare?

Non la corsa a fare, non banali bacchette magiche affidate a sciamani della legge o peggio della medicina che di nessun aiuto possono essere in questo momento, a meno di non voler collaborare, mettendo, umilmente, le loro competenze al servizio del movimento, e non pretendendo di capeggiarlo.

Così facendo, sostituiremmo solo un tecnico con altri tecnici, contravvenendo alla necessità di far rinascere la sfera politica come unica possibilità reale di riscatto, la sola in grado di trovare ed indicare soluzioni economiche, legali, sanitarie, culturali, sociali per il bene della comunità.

Clericismo regolare e secolare: giù dall’eburnea torre

In generale chi per primo occupa il campo di battaglia e si predispone in attesa del nemico sarà in vantaggio… perciò chi eccelle nell’arte della guerra costringe gli avversari a fare ciò che desidera e non il contrario³.

Come si costruisce una contro-narrazione adeguata? Intanto smontando il linguaggio, ovvero non usando la neolingua pandemica che, similmente al bipensiero orwelliano, scinde il significante dal significato in una costruzione irreale che è finalizzata alla non comprensione.

Il linguaggio costruisce la visione del mondo, ecco perché è di fondamentale importanza usare termini corretti ed adeguati alla complessità del presente.
In tal senso, il linguaggio politico ed economico novecentesco non può, in alcun modo, oggi, costruire un’efficace Weltanschauung perché assolutamente inadeguato ad analizzare, e quindi rendere intellegibile, la situazione attuale; gli schemi linguistici vanno, di conseguenza, adeguati al fine di poter originare paradigmi interpretativi validi.

Molti hanno iniziato a percepire che un nuovo mondo stava prendendo forma eppure hanno continuato a proporre analisi inadeguate perché basate su vecchi modelli interpretativi, il rischio che si corre, per inerzia, incapacità o nostalgia, è quello di usare il linguaggio di ieri per costruire una visione di un mondo passato e analizzare il mondo di ieri, non l’attuale nuovo mondo distopico, costruito a partire dai parametri del Grande Reset.

Un’efficace contro-narrazione deve quindi poggiare su solide basi linguistiche e, di conseguenza, interpretative, scevra da qualsiasi compromesso col campo semantico del nemico, anche terminologicamente: il nemico usa una narrazione pseudo scientifica, dogmatica di carattere sanitario, noi dobbiamo costruire una contro-narrazione politica.

Il nemico ha un vantaggio temporale, ha iniziato decadi fa ma la sua visione si è palesata solo pochi anni fa “vota la scienza, scegli PD”, il Patto in difesa della scienza e la legge Lorenzin ne erano l’avamposto.

Solo pochi hanno capito, ancora meno hanno iniziato a reagire: noi di Frontiere siamo stati i primi a spiegare che l’implicazione era politica, che la scienza era il mezzo e che il suo vincolo esterno stava soppiantando quello economico.

Analisi del sociale (qui e qui) della politica (qui e qui) del linguaggio (qui o qui) analisi approfondite sul così detto “transumanesimo” (qui ) sul nuovo ciclo di accumulazione capitalistico (qui), sul clima (qui) sul nuovo mondo (qui), sulla ricerca di superamento dell’essere umano (qui o qui) …tutto è lì dal 2019, trattato in modo approfondito ed accurato, nessun luogo comune, nessuna banalizzazione, nessuna lusinga al passato, nessuna nostalgia. Ecco perché non abbiamo bisogno di starlette o di guru del pensiero che ripetono concetti vuoti senza alcuna profondità epistemica né, tantomeno, politica, privi come sono di analisi nonché di una preparazione adeguata.

Solide basi linguistico-interpretative permettono un’accurata analisi e, conseguentemente, un’elaborazione di una visione del mondo appropriata. Ripeto la questione è politica, la risposta e la contro-narrazione devono essere politiche non può essere altrimenti.

È tanto vero che la questione è politica che la prima risposta di massa, la prima reazione “spontanea”, all’ennesima assurda imposizione, è stata politica, sebbene ancora in forma inconsapevole. La prima vera risposta politica al confinamento ed all’isolamento è stato il riappropriarsi degli spazi comuni, quegli spazi aperti e di incontro che ci avevano negato: le piazze.

Dagli inizi del 2021 molti hanno iniziato a reagire scendendo in piazza, rendendo così visibile il loro opporsi a questo stato di cose e, manifestandosi, hanno compiuto un preciso atto politico, a questo ne sono seguiti e ne stanno seguendo altri come gli scioperi, la protesta degli studenti e dei docenti.

Piazze, futuro e una vera forza antisistemica: il secondo blocco

Queste sono azioni politiche precise; certo, devono crescere e rafforzarsi, devono unificarsi ed assumere una valenza politica più stringente se vogliono diventare realmente incisive ma proprio questo è il compito di chi vuole far crescere questo movimento, trasformando ed unendo le diverse istanze prepolitiche, limitando i rischi di infiltrazione, di strumentalizzazione e costruendo insieme una strada, avendo chiari il fine e stabilendo i mezzi.

I guerrieri vittoriosi prima vincono poi vanno in guerra, mentre i guerrieri sconfitti prima vanno in guerra, poi cercano di vincere4.

Sapere dove si deve andare è il primo passo necessario per scegliere il percorso da fare, chi non sa dove deve andare, si perde e fa perdere chi lo segue.

Chi vuole riportare il movimento entro il recinto istituzionale è un traditore, perché vuole solo sbarrare la strada al dissenso, tappargli la bocca e ricondurlo nell’inerzia, chi propone atti eclatanti è un vigliacco perché vorrebbe accelerarne, pericolosamente, i processi, dirigendo, in tal modo, il movimento verso la repressione, e quindi fa il gioco del nemico, consciamente o meno.

Altrettanto pericolosi sono i guru che chiedono fiducia cieca e promettono soluzioni facili, bacchette magiche, magari con seminari al costo di €200,00, vitto ed alloggio esclusi, o gli imbonitori/influencer del web che, privi totalmente di visione ed analisi politica, ripetono concetti espressi da altri.

Il movimento deve diffidare di tutti questi cialtroni, di questi ciarlatani del sabato pomeriggio.

Occorre prestare attenzione, non rispondere a facili sollecitazioni, resistere al richiamo di sirene che si rivelerebbero solo vacui ammaliatori da circo Barnum. La cialtronaggine di certuni è manifesta, in altri è celata da vuoti pneumatici ideologici espressi, però, in modo pomposo e altisonante: difficile districarsi nel mare magnum di proposte che spuntano, come funghi allucinogeni, riempiendo il virtuale.

Prima condizione è quella di stabilire forti legami territoriali, formare una vera communitas che esca dal virtuale ed entri nell’ambito dei rapporti reali, creare vincoli e legami, creare una vera rete di solidarietà, un mutuo soccorso che non sia umiliante “dono”, ma collaborazione: per esempio costruire reti territoriali di lavoratori sospesi che aiutino e siano pagati per questo.

Le vie di fuga non sono un’alternativa che, per chi vuol difendere la libertà, possa essere presa in considerazione, la non lotta non è una prospettiva, è la fine di ogni prospettiva, è la resa, è la peggiore delle sconfitte.

Resistere per riappropriarci del politico, dell’”umano”, della sua dimensione sociale, spazzando via il progressismo ideologico, figlio del peggior liberismo, che ha tentato di costruire un mondo di apolidi ed apolitici, seguaci di ogni molecola di spazzatura intellettuale propagata dal pensiero unico.

Tutto questo rappresenta un rischio reale di sconfitta interna a cui si unisce, oltretutto, da parte del governo, un controllo sociale che diventa, visibilmente, sempre più stringente in termini di propaganda, divieti, obblighi e repressione.

Controllo sociale e violenza: significati e significanti

Il perfezionamento della forma di controllo si è andata via via palesando con atti concreti: legge Lorenzin, Sovranismo psichico, elettrostimolazione cerebrale, Triptorelina5, in breve, la medicalizzazione del dissenso e l’induzione medicalizzata del consenso.

Questo bisogno, del governo tecnico, di controllo stringente e capillare sulla popolazione diventa chiaro nell’uso strumentale della pandemia, e si fonda sulla politica del terrore portata avanti fin dall’inizio, sull’istillazione incessante della paura, sulla diffusione della sensazione di impotenza, sul principio di dubitare e, addirittura, temere il prossimo, sul distanziamento di sicurezza che diventa, sempre nella neolingua pandemica, “distanziamento sociale” proprio perché deve colpire la socializzazione, minare le basi dell’interazione umana, sgretolare i rapporti per favorire il suo divide et impera.

Esprimere un dubbio, un’opinione diversa dal pensiero dominante, al momento, può portare ad una sospensione, che sia quello di un profilo social, il blocco di un blog o di una pagina, ma siamo solo nel virtuale?

No. I medici, gli operatori sanitari e i professori sono stati sospesi per questo e qui non siamo più nel virtuale, qui si entra nel reale, nella vita di un essere umano.

Giorno dopo giorno, si fa evidente la necessità di aumentare la stretta sul controllo, conseguentemente deve aumentare l’insicurezza tra la popolazione, questo era lo scopo di DPCM che si susseguivano senza tregua, anche ad ore tarde, proprio per contribuire a dare il senso di emergenzialità, di instabilità, di incertezza.

Cos’è il controllo sociale?

un insieme di norme, generalmente codificate, e di strumenti coercitivi finalizzato ad identificare, prevenire, scoraggiare e punire comportamenti che sono considerati devianti rispetto ai valori della comunità.

da definizione Treccani

Orbene, quali sono i comportamenti devianti, rispetto ai valori della comunità, che questo governo tecnico vorrebbe tenere sotto controllo e punire?

La risposta è assai semplice.

In un ribaltamento totale dei significati, questi comportamenti devianti sono quelli che, fino al 31 gennaio 2020, ancorché indeboliti ed a rischio, ancora fondavano la democrazia stessa, quelli della società come comunità, quelli della condivisione, quelli su cui poggia tutta la nostra tradizione, valori etici con cui ognuno di noi, indipendentemente dal credo politico e religioso, è cresciuto e, al rispetto dei quali è stato educato ed educa.

Ovvero, si è prodotta una tale distorsione profonda, all’interno della società, per cui, quei comportamenti eticamente inammissibili e socialmente inaccettabili, sono diventati un modello comportamentale diffuso e condiviso.

Ne cito uno che ritengo basilare: accudire, proteggere e curare i fragili, ossia i malati, gli anziani, i bambini.

Ebbene, se accettiamo la definizione data sopra di comportamento deviante punibile, questo governo è colpevole:

  • reo di aver fatto morire gli anziani soli nelle RSA,
  • reo di averne vietato un funerale dignitoso,
  • reo di aver impedito ai medici di operare in scienza e coscienza,
  • reo di aver reso gli ospedali impraticabili,
  • reo di aver impedito di assistere i propri cari malati,
  • reo di aver vietato le cure necessarie,
  • reo di impedire ai bambini di vivere normalmente e serenamente la loro infanzia,
  • reo di averli rinchiusi in casa di fronte ad uno schermo,
  • reo di averli privati di attività sportive, di svago, e di poter perseguire i loro interessi,
  • reo di averli isolati,
  • reo di impedire il contatto tra di loro,
  • reo di averli resi schiavi di regole aberranti ed assurde.

Oggi siamo arrivati all’obbligo di un Green-pass per avere la possibilità, prima diritto, di vivere normalmente: lavorare, mangiare al ristorante, seguire lezioni universitarie e sostenere esami, andare in ospedale, andare a prendere un figlio malato a scuola, prendere un treno o un aereo, visitare un museo, assistere ad un convegno, avere accesso ad uffici pubblici… tutto ciò che facevamo senza un permesso governativo, ora, ci è vietato per legge, ancora una volta l’eccezione è diventata regola, norma.
Siamo arrivati a dover avere un permesso governativo per esistere e avere assicurate libertà fondamentali.

La nostra vita sociale dipende ed è regolata da un codice digitale basato su un concetto medico.

Però, se fosse davvero una questione medica, dovremmo chiederci perché non sia valido ovunque, perché, per esempio, si può accedere ai centri commerciali, ai supermercati, ai negozi?

Risposta: perché non si può vietare tutto!

Quindi si vieta in base ad un concetto sanitario che, però, non è valido ovunque o è valido a seconda dei casi?
Siamo nel teatro dell’assurdo.

Da un punto di vista sanitario, tutto questo è assolutamente insensato e, per altro, si lega, in modo diretto, al problema delle mascherine: queste, secondo la prescrizione governativa, che le ha rese obbligatorie al chiuso, dovrebbero essere in grado di proteggerci. Allora dovrei poter andare al lavoro, a scuola, al supermercato, prendere treni, aerei o autobus, andare al ristorante.

A questo dovevano servire le misure messe in atto fino ad ora dal governo, quelle che erano valide fino a qualche mese fa…

Però, se si ha bisogno di esercitare controllo stringente per far sopravvivere lo status quo di un regime tecnico, che se ne sbatte della Costituzione, che calpesta diritti fondamentali e che risponde solo ai desiderata di una élite finanziaria sovrannazionale che, per superare la crisi sistemica in atto deve resettare economia e società, allora il problema, evidentemente non è sanitario ma politico, le misure sono sociali, la pandemia si trasforma in manna dal cielo e lo stesso controllo elettronico, per ora “solo” tramite green-pass di carattere medico, già in tal forma potente strumento coercitivo, aumenta ed estende la sua efficacia.

Questa violenza è stata accettata dalla maggior parte della popolazione senza un minimo segno di sdegno, di rabbia, tutto ciò è stato accettato, subito passivamente.
Comportamenti devianti, rispetto ai valori della comunità, che prima sarebbero stati stigmatizzati, sono stati accolti come normali, anzi come norma, come comportamento normato per legge, codificato.

È stato chiesto ai cittadini di rispettare un governo deviante che identifica, scoraggia e punisce comportamenti assolutamente normali che seguono, semplicemente, valori umani generalmente condivisi e difesi: le basi di qualsiasi civiltà, di qualsiasi tradizione.

Ci è stato chiesto di rinnegare tutto questo e scendere al rango di sub-umani non pensanti, anaffettivi ed incapaci di autonomia intellettuale.

Ci è stato chiesto di credere in una società senza valori, senza rispetto per l’altro, senza cultura, senza radici, senza legami: una società oleosa in cui molecole di diversa natura non possono aggregarsi.

Stato d’eccezione come stato di emergenza

Disgregata, divisa ed isolata, qualsiasi comunità umana smette di essere tale, smette di agire come tale, restano gli individui, monadi incapaci di unione, egocentriche ed anaffettive, chiuse nel loro egoismo narcisista. Una società in cui l’altro diventa pericoloso o, peggio, inutile.

Questo percorso di isolamento facilita la nascita di fenomeni da baraccone del web, star blogger pontificanti, il proliferare di dive e primedonne in ambito medico e giuridico, seguendo la narrazione del nemico che definisce il campo d’azione, favorendo, allo stesso tempo, anche l’incapacità di condivisione, di lavorare con gli altri mettendosi al servizio della comunità, di una causa condivisa.

Le basi di quell’attività che definiamo politica ne sono minate e l’individualismo trionfa.

I tecnici della comunicazione hanno preparato la strada a tutto questo anche creando i social, luoghi di incontro e condivisione virtuali in cui ci si isola dal mondo, al pari di monasteri di clausura laici, e si vive la vita che vorremmo: le relazioni sentimentali che vorremmo, quelle sessuali che vorremmo, quelle umane che vorremmo, la politica che vorremmo, la voce in capitolo che vorremmo avere… le frustrazioni del reale non trovano soluzioni effettive ma sono sublimate nel virtuale in cui si sfogano senza colpo ferire, senza mettere in discussione la vita ed il mondo in cui agiamo.

Dall’amore al sesso alla politica, tutto diventa fantasmatico, irreale e fuori dalle vere dinamiche sociali, dandoci l’impressione di benessere perché, finalmente, siamo quello che vorremo essere.

Ma la realtà ci raggiunge sempre, per fortuna, e questa massa dormiente ha iniziato a svegliarsi ed aggregarsi, ha iniziato a dare una forma reale al proprio malcontento.

Questa possibilità, forse, non era nei piani dei tecnici che gestiscono le sorti dei paesi, magari avevano sottovalutato l’istinto di sopravvivenza dell’essere umano, il suo attaccamento al mondo, come luogo in cui si intrecciano legami, in cui si condividono valori, in cui si creano comunità che decidono di non isolarsi ma di aprirsi.

Il giorno della fine: conclusione in sintesi

Allora, il giorno della fine, annunciata, della civiltà, o di quello che resta di essa dopo lo scempio mondialista, il giorno, metaforico, dell’avvento di questo distopico nuovo mondo in cui il “transumano” deve soppiantare l’umano, in cui l’UE è un mezzo ma non il fine, e la Scientocrazia sembra regnare incontrastata, non ci servirà l’economia.

Non ci serviranno la marea di analisi sciatte o, ancor peggio, accurate, prodotte dal pensiero novecentesco, che cercavano di costruire una contro-narrazione correndo dietro alle analisi liberiste per confutarle sul loro stesso piano, con i loro stessi argomenti e, così facendo, ingabbiando la riflessione politica.

Quell’economia che per miopia, per anni, avete contribuito a rendere sovrana e che ha schiacciato il pensiero su una singola parte di un dibattito molto più ampio e complesso, non vi servirà più.

Non ce la fate a rassegnarvi perché non avete altri argomenti, è povertà di spirito, è nostalgia per una visione del mondo ormai totalmente inadeguata, continuare a propagarla come utile, blocca ed incanala, la costruzione di una visione del mondo attuale, in un vicolo cieco dal quale sarà difficile uscire.

Se i fatti non sono serviti a mutare il vostro punto di vista, siete destinate a essere relegati nel dimenticatoio, una sineddoche non può costituire la sola base di un pensiero, necessariamente molto più complesso.

In questo Gran Mercado del Mundo6 in cui gli uomini sono diventati, a tutti gli effetti, merce da delocalizzare, al pari delle industrie, l’essere umano, come parte di una communitas e non isolato nel suo becero individualismo, deve tornare ad essere il centro di una complessa riflessione che porti da un’adeguata analisi, ad una sintesi e, quindi a dare una risposta ad interrogativi fondamentali: qual è il fine? Che fare? Come fare? Con quali mezzi?

Qualsiasi soggetto politico voglia prendere forma, dalle ceneri del liberismo sovrannazionale, per spargere il sale sulle macerie del mondialismo e costruire una nuova visione del mondo, nonché una prospettiva politica credibile, deve avere risposte convincenti a tutte le domande poste sopra, non potrà essere altrimenti, nessuna strizzata d’occhio né al passato né, men che meno, al futuro trionfante di un’intelligenza artificiale il cui sintagma è solo un ossimoro.

Va costruito insieme a chiunque sia convinto di non voler lavorare con traditori e opportunisti che hanno già mostrato la loro squalificante natura politica: il movimento è forte, fa gola a tanti parassiti e, se davvero vogliamo essere uomini, smettiamo di essere pecore e di seguire i lupi, lasciamoli soli, isoliamoli e creiamo insieme il nostro percorso.

Manete, missa non est.

[1] Schwab, Klaus, Stakeholder Capitalism: A Global Economy That Works for Progress, People and Planet, Jhon Wiley & Sons, 2021
[2] De André, Fabrizio, Canzone del maggio, da Storia di un impiegato, 1973
[3] Sun Tzu, L’arte della guerra, p. 133, Neri Pozza editore, 1999
[4] ibid.
[5] È un farmaco usato nel trattamento dei tumori alla prostata ma, dal 2018, è stata introdotta, rimborsabile, “per sospendere l’arrivo della pubertà e dare più tempo per indagare la propria identità di genere” (Wired, 8 marzo 2019)
[6] Cit. de la Barca, Pedro Calderón, El gran mercado del mundo, Ediciones Cátedra, 1989
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[…] dal popolo un consenso libero e informato verso un impianto sì malcelato, imbevuto com’è di progressismo ideologico, figlio del peggior liberismo, convincere le persone insomma, senza il fuoco di sbarramento propagandistico e mediatico che […]

lo
ciao
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