Die Zauberflöte o (contro) il distopico mondo degli azionisti

Singspiel incompleto, in più atti

Il capitalismo degli azionisti, Stakeholder capitalism, altro non è se non la materializzazione del sogno accarezzato, ormai da molti decenni, dalle élite liberali mondiali, che hanno profuso sforzi considerevoli per dar forma, in modo demiurgico, a quella che potremmo definire una vera e propria aziendalizzazione della società, in perfetta sincronia, perché assolutamente necessaria, con la distopica costruzione di una visione del mondo sotto forma di mercato totale, che deve concernere ed investire di sé ogni minimo spazio della vita dell’essere umano.

Il mondo doveva essere trasformato e gestito seguendo i paradigmi progettuali di una nuova idea di azienda: via i confini, che, in quest’ottica diventano superflui, un ostacolo da abbattere per favorire la libera circolazione di merci e di capitali, ma, soprattutto di persone, quelle decise da loro, forza lavoro da spostare, in una perpetua mobilità, nel segno di un’ineluttabile flessibilità che altro non è se non precarizzazione totale che rende difficili i legami e, di conseguenza, le reazioni e le rivendicazioni.

In questo senso il telelavoro facilita di molto la riuscita dell’operazione.

Questa trasformazione parte da lontano, generando cambiamenti fondamentali, anche non immediatamente intellegibili, che hanno profondamente agito sul tessuto sociale modificandone la struttura; un primo eloquente esempio è l’aziendalizzazione della sanità: quando si trasformarono le USL in ASL non si trattò semplicemente di un cambio estetico della denominazione; Azienda ha un preciso significato, implica profitto e quindi un ripensamento totale e generalizzato dell’intero apparato, questa concezione ha avuto, tra le altre conseguenze, per esempio, quella di portare all’aumento del personale impiegato in mansioni amministrative, ormai oltre la metà del totale, a discapito del personale medico e paramedico, con quei risultati, all’epoca solo immaginabili, ora, chiaramente visibili.

Quando il World Economic Forum sostiene che negli ultimi decenni la spesa medica è aumentata, ciò che afferma, corrisponde a verità, ma, andando a leggere le cifre, scopriamo che questo è sostanzialmente dovuto non alla decisione di investire in strutture o personale medico, ma, semplicemente all’aumento delle spese di gestione.

I paradigmi si sono ribaltati e così, ad una sanità più efficiente nel curare e nel prevenire, si è privilegiata l’idea di una sanità più redditizia, che facesse cassa, evidentemente a discapito dell’assistenza.

Per questa stessa ragione, era necessario che i medici venissero adeguati al disegno: non potendo aumentarne adeguatamente gli stipendi, sempre nell’otica di ridurre le spese ed aumentare il profitto, dovevano essere trasformati in imprenditori, ci riuscirono grazie alla riforma Bindi ed al decreto Balduzzi che gli offrivano, da un lato, la possibilità dell’intramoenia, ovvero di esercitare, in regime di libera professione, all’interno dell’ospedale, al di fuori del normale orario di lavoro, usufruendo però delle infrastrutture e, dall’altro, di farlo anche al di fuori della stesa struttura ospedaliera, per esempio in cliniche private.

La chiusura degli ospedali di prossimità, prassi attestata in molti paesi dell’occidente, segue le stesse linee progettuali.

Il medesimo punto di vista soggiace alle riforme scolastiche, in generale, ed universitarie, in particolare, che nel tempo si sono susseguite, pensiamo all’introduzione del numero chiuso (che ha, per altro, ribaltato totalmente la conquista sessantottina di un’università aperta) in molte facoltà che, però, allo stesso tempo, devono garantire una quota di studenti stranieri: la conseguenza più evidente di questa scellerata innovazione, è stata avere studenti stranieri che hanno portato a termine la loro istruzione ed hanno iniziato a lavorare in Italia e giovani italiani che sono stati costretti ad immigrare all’estero per terminare il loro ciclo di istruzione e poter lavorare.

Piccola nota di colore da non sottovalutare: il livello medio di istruzione scolastica, fino a qualche decennio fa, degli studenti italiani era assai superiore rispetto a quello degli studenti stranieri, quindi, sostanzialmente, abbiamo importato e formato esseri funzionali al disegno delle élite, perché di base più ignoranti, ed abbiamo esportato esseri più consapevoli e meglio istruiti, quindi, disfunzionali allo stesso disegno…

L’altra grande svolta, in questa direzione aziendalistica di gestione delle università, come sempre preceduta da impercettibili ma incisivi cambiamenti, avvenne, nel 1990 con la riforma Ruberti che legava, di fatto, l’Università alle imprese, facendovi affluire fondi privati destinati, ben inteso, anche alla ricerca; questa capovolgeva l’idea stessa di università pubblica ed avrebbe aperto una voragine distopica che, col passare degli anni, è divenuta sempre più profonda: specializzazione via via crescente delle facoltà scientifiche, in cui la ricerca è, conseguentemente, pilotata proprio perché sovvenzionata, quasi esclusivamente, da fondi privati e, contemporaneamente, impoverimento e declassamento delle facoltà umanistiche che, secondo questa visione utilitaristica del sapere parcellizzato, diventano quasi inutili, quindi destinate o a scomparire o a trasformarsi in qualcosa di più redditizio ed appetibile per il sistema.

La laurea breve è solo un ulteriore peggioramento ed impoverimento di un sistema d’istruzione che sembrava già aver toccato il fondo.

Per completare il quadro generale, accenniamo solo brevemente, a qualche sintagma esplicativo del contesto aziendalistico che ha colpito il linguaggio relativo all’istruzione, per esempio i crediti ed i debiti formativi, i presidi diventati dirigenti, il piano di offerta formativa

L’aziendalizzazione non deve tralasciare nulla, deve essere una riprogrammazione a tutto campo, e, da questo punto di vista, la nuova scuola non fa eccezione, essa non è più chiamata ad istruire ma a formare, dare una nuova forma all’essere umano in una fase della sua crescita in cui sia ancora facilmente modellabile: guardando le tematiche affrontate nell’ultimo convegno del WEF a Davos, si nota, non a caso, che il verbo inglese shape, modellare, nel senso di dar forma, è uno dei più ripetuti.

Dare alle giovani menti, fin da bambini, una nuova forma che corrisponda a determinati obiettivi è il verbo, l’azione da portare a termine, a compimento, ed è questa precisa azione, questo proposito, che deve sostituire l’idea, ormai superflua, ed anzi dannosa, per il sistema neoliberale, di istruire, dare contenuti, far crescere, sviluppare il senso critico.

Leggendolo da questo punto di vista, l’Invalsi, non è altro se non una sorta di indice di livellamento all’obiettivo prefissato.

Il capitalismo deve cambiare, la società deve cambiare, la gestione della res publica deve cambiare.

Se il mondo deve diventare un’immensa azienda e come tale deve essere gestito, la politica ed i suoi apparati amministrativi devono adeguarsi, ovvero deve scomparire l’idea di governo così come l’abbiamo conosciuta: chi è eletto deve limitarsi a giocare un ruolo, come un attore qualsiasi, sia per salvare le apparenze, una residua parvenza di non dittatura, sia perché potrebbe tornare utile se ci fossero reazioni, nel moderno gergo, questa funzione di contenimento, si definisce gate keeping.

Che questo politico/attore sia all’opposizione o al governo, poco cambia, il potere decisionale non gli appartiene perché le decisioni, sono demandate ad uno o più tecnici voluti dalle élite al fine di operare scelte che portino, incontrovertibilmente, verso una determinata direzione.

Da questo punto di vista emerge chiaramente che l’UE non è che un mero passacarte che fa da connettore tra le élite ed il tecnico: il WEF decide, l’UE crea apposite direttive, il tecnico esegue. Ecco il vero nuovo iter amministrativo.

Stante questo stato di cose, che rende la rappresentatività meramente accessoria e decorativa, i parlamentari diventano una spesa superflua, tanto vale diminuirne il numero; ecco perché tutti i partiti avevano nel proprio programma questo punto preciso ed ecco la ragione per la quale ci ritroviamo Draghi il cui cursus honorum, come rappresentante della tecnocrazia, è di assoluto rispetto, non si poteva chiedere di meglio.

La politica è morta. La scientocrazia e la tecnocrazia sono le nuove forme di governo.

Il vincolo che lega capitalismo, società e governo deve avere parametri sempre più stringenti e, perché sia funzionale, deve, necessariamente, investire l’intera esistenza non solo materiale ma anche mentale e spirituale: il Grande Reset, la Grande Riprogrammazione è servita!

Lo stesso vincolo, di conseguenza, non può essere esclusivamente economico, non più, per essere efficace deve fornire e far accettare, attraverso la scientocrazia e la tecnocrazia, una nuova visione del mondo o, forse meglio, un nuovo mondo costruito secondo i paradigmi sociali e culturali ideati dal neoliberalismo.

Non capire questo vuol dire, non solo non saper leggere il presente ma, semplicemente, essere ed agire fuori dalla realtà.

Ite, missa est.

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