LA STORIA

(letta a modo mio)

Noi impariamo la Storia (quella con la maiuscola che va ben oltre le vicende quotidiane di ognuno di noi e che pure le comprende) prima di tutto dai libri scolastici, i “manuali”. Crescendo di età e di grado scolastico avremo di fronte libri e manuali sempre più estesi e approfonditi; ad essi si accompagnano -a seconda dell’interesse- dei “saggi” specialistici e focalizzati su singoli aspetti o su determinate epoche. Via via in tal modo le cose si complicano, al punto che diviene utile, in un mare sempre più vasto, avvalersi di un metodo: non pochi studiosi[1] si sono illustrati nell’elaborare e offrire un metodo che ci orienti e ci guidi -come una bussola- in questa trama complessa e variegata di dati, temi, ipotesi.

Infatti che cos’è la Storia? E’ la conoscenza del passato, dal più vicino (ma non troppo) al più lontano. Non troppo vicino perché una certa distanza temporale favorisce la oggettività e perché raccogliere tutte le informazioni necessarie richiede tempo, non troppo lontano perché si soffrirebbe una mancanza o estrema scarsità di dati. Cosa supporta tale conoscenza del passato? Di cosa abbiamo bisogno per tentare questa conoscenza? Servono testimonianze, tracce, indizi; sono le fonti e ognuna di esse va esaminata, scandagliata, discussa, messa a confronto quasi si fosse in tribunale alla disamina delle prove: questo si chiama critica delle fonti, è il primo passo da compiere ed è fondamentale. La più pregiata di esse è la testimonianza scritta: dal cuneiforme, al gotico, al bodoniano tipografico gli studiosi -gli storici- sono sempre alla caccia di tali reperti grafici. Tra di essi vi sono le relazioni di chi -all’epoca in cui si riferiscono i fatti- ha inteso lasciare un resoconto di ciò che conosce: sono gli storiografi, da distinguere dagli storici perché hanno inteso volontariamente trasmettere il loro punto di vista, personale, soggettivo laddove gli storici cercano al massimo di restare oggettivi, imparziali, critici. Si vede dunque che quando si parla di Storia c’è solo l’imbarazzo della scelta tra versioni, interpretazioni, letture diverse.

In questo scritto io mi sono avventurato a darne la mia, personale, di lettura.

Cominciamo dalla operazione di base più comune e insurrogabile: la cronologia; fissare cioè le coordinate temporali di ogni tema, le DATE.

Ebbene le mie datazioni sono mie, un po’ o molto diverse a volte da quelle dei testi canonici. Vediamo.

Iniziando dalla Romanità condivido anch’io la data di inizio, il famoso 753 a.C.,[2] ma per la fine -dove di solito si fissa il 476 d.C.- mi distacco, indicando il 313 anno del trionfo di Costantino, da cui, nei fatti, partì un’altra storia ,quella dell’impero romano-cristiano, che è cosa diversa dalla romanità prova ne sia che nel 380 Teodosio con l’editto di Tessalonica vietò l’uso della vecchia religione, quella della fondazione della città; e subito dopo fu rimosso dalla Curia del senato l’altare della Vittoria. Fatto epocale e gigantesco dal punto di vista simbolico, la Romanità si era esaurita, era sorta un’altra cosa. Gli antichi ne ebbero una, per loro definitiva, conferma quando, sempre nel 313-314, non fu rinnovata la cerimonia dei Ludi Saeculares (per essi assolutamente fondamentale), da rinnovarsi dopo 110 anni dalla precedente scadenza del 204 celebrata da Settimio Severo. Qualcuno sorriderà a queste coincidenze ma esse rimangono sconvolgenti.

Procediamo nel tempo.

Sul prossimo tema esiste già l’autore di una visione particolare, innovativa e, a tutt’oggi, minoritaria, a cui io mi accodo: Henry Pirenne e il suo Maometto e Carlomagno dove si sostiene che nel 622, con la nascita dell’Islam e della sua espansione, avvenne la fine di un mondo; la fine cioè del mondo come allora si concepiva[3] vale a dire centrato attorno al Mediterraneo. Da allora in poi le sue coste meridionali ed orientali cessano di essere controllate dall’Impero (l’unico che c’era, quello di Costantinopoli), il Cristianesimo scompare da zone dove era fiorentissimo (si pensi all’Egitto) e dove era nato (Siria, Palestina); questo lago interno (il Mare Nostrum) cessava di essere dominato dagli indoeuropei e dalla sua civiltà ellenistica e passava in mano alla popolazione semita degli Arabi. Considerando tutto questo si può parlare senza esagerazione della fine DEL mondo. E anche guardando alla situazione attuale il 622 si può considerare l’inizio in un Nuovo Mondo.

Come abbiamo visto sopra, il mio Medioevo comincia a partire dal 313; rimane da fissarne la fine (oggi tradizionalmente posta nel 1492 scoperta dell’America) che secondo la mia visione e versione termina prima e cioè agli inizi del ‘300. Vediamo perché.

Nel 1250 era morto Federico II e con lui -la sua energia, la sua personalità, la sua posizione dinastica- l’ultima possibilità dell’Impero di affermarsi come somma autorità civile, faro di legittimità e di sicurezza nella Città degli uomini (tanto rimpianta e desiderata da Dante).

A partire dagli inizi del Trecento inoltre si pone l’acmè e quindi l’inizio di una discesa inarrestabile del modello e della forza spirituale del monachesimo: rinascono le città e con esse la preminenza dei Vescovi, la rivale autorità dei Comuni e la concorrente autorevolezza culturale e sapienziale delle nascenti Università[4]. Nel 1314 poi vengono processati, uccisi e dispersi i Templari (modello di eccellenza del monachesimo). In sintesi il mio medioevo va dal 313 al 1314, mille anni tondi.

E dopo, cosa ci fu?

Fu l’inizio del primo globalismo: la linea attraversa razionalismo, Repubbliche Marinare, esplorazioni geografiche, ritorno in auge dell’usura (i Banchi senesi e fiorentini), fine dell’Unità della Cristianità-Lutero1517.

Altri (di globalismi) seguiranno

ALTRE STORIE

LA MONARCHIA PER DIRITTO DIVINO-

Il potere regale fu sin dall’inizio legato alla divinità e anche i re cristiani si consideravano investiti di un potere sacro. Il primo a considerarsi un vicario di Dio fu nel 496 Clodoveo della dinastia dei Merovingi che, abbracciato il cristianesimo, dominava sull’attuale Francia settentrionale. Da allora i re clodovingi si fecero conferire la corona con un rito quasi sacramentale[5]. La decapitazione di Luigi XVI nel 1793 interrompe una tradizione che attraversa quasi due millenni e non pochi appassionati ancor oggi ritengono quell’atto come sacrilego e gravemente blasfemo, e portatore di punizione tuttora incombente.

ANCORA L’USURA-

Ho trattato questo tema già in Frontiere qui https://frontiere.me/breve-stratigrafia-dellusura-o-de-te-fabula-narratur/

In questa sede aggiungeremo che essa -come fenomeno di substrato che attraversa i secoli- riemerge (fino all’attuale trionfo) dal secondo globalismo che possiamo datare a partire dalla Compagnia delle Indie olandese a metà ‘600 e passa per la nascita della Massoneria (prima metà del ‘700) e si sviluppa con l’affermarsi della potenza finanziaria dei Rothschild (metà ‘800).


[1] Eccelle lo studio di Federico Chabod col suo Lezioni di metodo storico.

[2] Più precisamente ritengo assai plausibile concepire una “prima caduta” della potenza di Roma nel ’44 a.C. con le guerre civili seguite alla morte di G. Cesare. Ad essa seguì una vera e propria rifondazione da parte di Augusto a partire dal 37 a.C.

[3] Già Alessandro conosceva l’India e l’attuale Afghanistan e i Romani ebbero rapporti con gli Indi (Augusto) e l’impero Cinese (Marco Aurelio) ma il loro mondo terminava ad oriente con l’altopiano iranico e a occidente con l’Oceano.

[4] Questa temperie è illustrata benissimo nel romanzo Il nome della rosa di U. Eco

[5] L’importanza di tale conformazione fu immensa: dai Franchi discese Carlomagno e la sua azione a fianco del Papato     fu una naturale conseguenza dell’impostazione iniziale di Clodoveo. Scelta fortunatissima per lui perché senza ostacoli lo portò ad essere incoronato Imperatore (799) in San Pietro. L’impero carolingio o Sacro Romano Impero dunque (secondo la mia versione che si basa su tali presupposti) si dirama dal re cristiano Clodoveo con una continuità che arriva fino al 1919 (ultimo degli Asburgo). Ma, parallelamente, un’altra linea ha diritto di essere considerata: quella dei Re di Francia (i Capetingi fanno capo ai Merovingi) che rivendicava anch’esso di regnare per diritto divino e vantava di conformare il suo esercizio alla volontà divina.

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