TRE PAROLE

    

Qui si tratta di parole e linguaggio.

Partiamo innanzi tutto dalle tre parole famigerate: resiliente, inclusivo, sostenibile.

Ci sono calate addosso quasi all’improvviso, come parole d’ordine, da una entità superiore, la “velina universale” che da un giorno all’altro impone a tutte le redazioni di usare queste espressioni.

La prima è addirittura un latinismo, da resilio  (verbo composto con apofonia da salio) che significa “tornare a balzar su”, che in ultima istanza significa “continuare a subire senza ribellarsi”…Ora ,a che cosa serve questa eleganza formale se non a indorare un’amara pillola di umiliazione?

Vi pare una cosa bella continuare a comportarsi  da utile idiota? Da sottomesso senza soluzione di continuità?  Idiozia reale in eleganza formale, ecco cosa hanno veicolato quando hanno introdotto questo vocabolo. Siamo nel campo dell’induzione di  comportamento: un comportamento auspicato, indicato a modello, certamente progettato. Così ci vogliono!

Passiamo alla seconda parola: inclusivo; termine opposto ad “esclusivo” che un tempo connotava eccellenza, elite, lusso dissimulando la

precisazione di “non per tutti” (letteralmente :che tiene fuori i più). E c’è da credergli: il suo opposto “inclusivo” –che preciseremo- mira proprio all’appiattimento verso il basso, livello cui tutti noi esclusi dall’elysium siamo destinati. “Portare tutti dentro” ,dai migranti non autorizzati agli stili di vita controculturali, alle idee più contraddittorie nel pensiero che si fa così debole che più debole non si può. “Inclusivo” è la negazione di ogni confine, di ogni frontiera, di ogni limite, riassume in sé tutti gli aspetti dell’ideologia mondialista e liberal-libertaria; e più micidiale: pensiamo solo  a che cosa succede in biologia laddove si annientano le membrane cellulari…l’abbattimento di ogni difesa con la conseguente morte di ogni organismo. Non si tratta di semplici parole, ma di vettori di lancio di ordigni mentalmente dirompenti: la ripetitività con cui sono ribaditi nei vari contesti ne fanno degli slogan irresistibili; non è più possibile omettere –almeno in ambito politicamente corretto– l’appellativo inclusivo da qualsiasi formula elogiativa, da ogni predica sia laica che clericale (è il caso di fare citazioni?).La sua potenza apodittica e allusiva è immediata: sappiamo tutti che ci stanno dicendo di accogliere ogni sbarco di migranti, ogni meticciato, ogni sostituzione culturale (gli stili di vita che ci arricchiranno).

Il terzo vocabolo è “sostenibile”; il senso di quest’ultimo è così denso che occorre dispiegarlo perché ne risulti tutta la sua pregnanza. Anche questo di lontana ascendenza latina ma quale e quanto slittamento ha percorso! Di solito si sostengono delle spese in denaro ma in questo caso il “debito” è verso un ipotetico e idealizzato equilibrio e benessere della natura, intesa come insieme di flora e fauna allo stato primigenio e selvaggio. Ed è anche complicato computare in quale valuta si esprime questo prezzo da “sostenere”: certo si è anche autorizzato –per chi può,s’intende- a pagarlo

nelle varie monete a corso legale, si ricordi l’escamotage per cui chi “ inquina di più paga di più”. Ma quello sarebbe (marxianamente) il “valore di scambio”; sì ma il valore di base in termini reali quale sarebbe? La condizione della  estensione ideale di “selvaggio” fatto di foreste ,paludi, animali ?

Ma il concetto nella sua inclinazione porterebbe (chi può illudersi?) “verso i più remoti primordi del mondo, quando la vegetazione invadeva la terra e i grandi alberi ne erano sovrani” (J.Conrad). E ,implicitamente, quando l’uomo era assente!  E’ lì che porta il piano inclinato, lì che ogni folle speculazione sulla CO2 finisce per andare a parare. Il debito si azzera solo con la scomparsa dell’uomo sulla terra; solo allora sarà sostenibile, ogni altra condizione sarà ancora in debito, comporterà ancora uno squilibrio, un prezzo da pagare.

La tecnica è sempre quella: “confezionare” lemmi formalmente preziosi ma ideologicamente oppressivi.

Va infine rilevato che tutte e tre queste parole sono aggettivi:  e quale caratteristica hanno in particolare gli aggettivi? La semiologia (Eco e altri) ci dice che l’aggettivo è il rivelatore del pensiero dell’autore, in cui  egli si nasconde e dietro cui parla senza mostrarsi (diversamente dal sostantivo che nella sua oggettività è consacrato dalla comunità). C’è dunque un autore da scoprire. E che dà le carte e detta il gioco, nel momento che impone il linguaggio. E quindi una precisa volontà. Altro che T.I.N.A., altro che destino inevitabile !

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