LA LOGICA DEL BRANCO

Il branco è il porto più protetto che esista per tutti gli insicuri, è l’omologazione per antonomasia, la ratifica del gruppo passivo, del difetto, la negazione del pensiero critico.  Un non-luogo che diventa polo d’attrazione del non-essere, l’assenza dell’io pensante. Non a caso è la primigenia forma di aggregazione giovanile.

Il branco non è tale se non segue un leader, un capobranco, un dominante che non ammette defezioni, né opinioni discordanti perché non ammette l’autonomia di pensiero, nega il confronto, emargina e distrugge, per prevalere, piuttosto che mettere in discussione le proprie idee per costruire.

Tanti gregari che seguono il puro, l’intoccabile che rimane tale almeno anche quando qualcuno ne metta in discussione la presunta primazia. Generalmente il capobranco è un narcisista e, come tale, agisce e pensa, mosso non dal sentirsi un primus inter pares ma piuttosto spinto dal considerarsi un primo tra coloro che egli reputa inferiori a sé ma che, per mero calcolo, fa sentire importanti, pur tenendoli sotto e non permettendogli di crescere, di migliorarsi, negandogli, anzi, ogni possibilità di arricchirsi.

Normalmente gli slogan vuoti e le parole d’ordine sono le costanti che caratterizzano le esternazioni degli egocentrici, lo slogan è breve, fa colpo perché è d’impatto immediato, contrariamente al ragionamento che è complesso e richiede attenzione e studio per essere seguito e compreso. Il capobranco non riuscirà mai ad andare oltre la frase ad effetto, non è avvezzo al ragionare e non gli interessa, poi, in finale, non ne ha alcun bisogno; per il suo scopo, il mostrare quanto sia superiore, non serve alcun ragionamento, che potrebbe contenere fallacie attaccabili, bastano quattro parole d’ordine ben scandite al momento giusto, se, poi, vengono declinate in modo diverso, non sembrano neanche le stesse.

Il capobranco sa essere ironico ma quando si tratta di distruggere gli altri diventa perfino feroce, quasi spietato ma è pietoso con i seguaci, esalta la loro mediocrità, fino al paternalismo, ma guai a ribellarsi: questo non è contemplato. Se mai accade che qualcuno manifesti un’autonomia di pensiero, lo sventurato verrà tagliato fuori dal cerchio magico, emarginato e reietto diventerà il Nemico e la furia distruttrice del capobranco si abbatterà su di lui. Il branco non ammette dissenzienti ma solo consenzienti non senzienti.

Il capobranco è bravissimo a puntare il dito su tutti coloro che, per qualche ragione, riescono ad emergere e ad esprimere un’opinione interessante e peculiare, se si dovesse dare il caso che costoro, in aggiunta, abbiano una maggiore fluidità dialettica, maggiore spessore culturale o, semplicemente, primeggino per una qualsiasi dote di cui egli non sia provvisto, parte il bombardamento a tappeto perché il capobranco non ammette l’esistenza di “migliori” e solleverà la marmaglia dei subalterni seguaci affinché partecipino all’emarginazione per denigrazione e lui possa continuare a regnare, incontrastato, sul nulla che ha creato.

Ogni azione che si discosta dalla canonicità, senza macchia e senza peccato, del capobranco è percepita, e bollata, come tradimento ed i social diventano il posto in cui sputtanare l’altro “pubblicamente”, anche questo fa parte della patologia del narcisista che, normalmente, essendo privo di qualsivoglia base di reale urbanità, e freno inibitorio, fa leva sul silenzio, dettato da semplice buonsenso e garbo, di chi è preso di mira che, quasi mai, si abbasserà al livello di pescivendolo da mercato rionale che, al contrario, il capobranco non disdegna.

Qual è il fine delle sue scellerate azioni? Il capobranco non si pone questa domanda, il fine per lui è continuare a potersi sentire superiore senza doverlo provare. È da questa certezza apodittica che trae la sua forza, che non sia mai che venga percepito come umile. Il capobranco non sbaglia mai e, comunque, quando accade, non lo ammette ed anzi, rincara la dose.

Il branco è l’opposto della condivisione, è la sua negazione, è prevaricazione basata sull’impotenza.

Questa è l’epoca del branco, è il momento dei seguaci, il vuoto di pensiero è terreno fertile per questo tipo di aggregazioni omologanti che si formano attorno a personalità prive di contenuti ma ricche di frasi fatte, è l’era del nulla, dell’assenza della politica, ridotta a pettegolezzo, e della visione del mondo, ridotta ad opinione, punto di vista sul pettegolezzo.  Siamo nel regno incontrastato della miseria di pensiero, si rifugge lo scontro dialettico perché, semplicemente, le argomentazioni sono assenti, il pensare è un’abitudine che va alimentata continuamente, un’abitudine che si sta perdendo.

La debolezza di pensiero diventa forza distruttrice, la mediocrità si fa eccellenza, la banalità è eretta a peculiarità, il motteggio è assurto a teoria politica, la miseria intellettuale diventa ricchezza, l’incapacità è trasformata in virtù: un mondo al contrario, come nel romanzo orwelliano, in cui vige l’opposto che si fa norma ed è tramutato in valore.

Anche le piazze pandemiche sono state una sineddoche proprio di questa barbarie, di questo vuoto e ciò che hanno prodotto è il frutto, già marcio, di tale volontà di annichilimento intellettuale. Tutti sono stati pronti a furoreggiare ripetendo tediose banalità o urlando beceri improperi, solo poche le voci capaci di costruire un pensiero originale che andasse oltre l’ovvio, predicatori nel deserto.

Sono state le piazze dei medici, degli avvocati e di tanti ciarlatani o faciloni che, finalmente, hanno avuto la loro ora di gloria, i loro trenta minuti di notorietà, l’occasione di parlare, ed essere acclamati, di fronte a qualcuno, sentendosi protagonisti. La logica del branco, appunto.  Infatti, anche da quelle piazze sono nati tanti piccoli branchi o mandrie, che dir si voglia, guidati da altrettanti cani da pastore che, come tali, si sono limitati a far pascere, per un poco, il proprio gregge per poi ricondurlo, non sapendo dove andare, al loro asfittico misero ovile, non avendo, oltretutto, la capacità o, ancor peggio, la volontà di andare oltre il recinto da essi stessi costruito.

Tirando le somme, appare evidente che la logica del branco è la stessa del gregge, il seguire, da pecore o da lupi castrati, un capobranco, che non è altro se non un cane da pastore con un disturbo della personalità non curato, pascendosi di ovvietà.

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