Scienza senza Ragione

Abbiamo visto come grazie alla reificazione di oggetti teorici e alla fondazione di una nuova filosofia naturale si è imboccato un percorso di trasformazione della scienza in religione.

L’elaborazione di teorie allo scopo di “salvare i fenomeni”, cioè per dare una spiegazione di ciò che appare ai nostri sensi, si è trasformato nella ricerca delle leggi che regolano la realtà. La nuova religione scientifica, avendo bisogno di fedeli e sacerdoti, ha fondato la propria capacità di persuasione sulla tecnologia, come elemento separatore dei secondi dai primi.

Grazie alla didattica e alla divulgazione scientifica si è propagandata una visione miracolistica della tecnologia atta a fondare la fede scientista.

Non dovendo più organizzare razionalmente i fenomeni osservati, la nuova scienza può prescindere da essi. Così osserviamo nascere teorie prive di fenomenologia da spiegare, come la teoria delle stringhe, oppure teorie che negano la fenomenologia osservata, come ad esempio teorie che prevedono la non esistenza del tempo.

Quest’ultimo caso è emblematico in quanto invita gli esseri umani a non fidarsi dei propri sensi nemmeno per la conoscenza del mondo fisico e anzi li sprona ad affidarsi agli esperti e ad assoggettarsi al principio di autorità.

Un passo ulteriore

La sedicente scienza moderna è andata oltre le teorie senza fenomenologia o le teorie che negano la fenomenologia: ormai le teorie scientifiche possono fare a meno della razionalità.

Come suggerisce Acerbi¹, la teoria funziona se produce «previsioni in grado di accordarsi con i dati sperimentali», ma nella scienza moderna «sono state abbandonate richieste anche elementari di coerenza interna e di consistenza del formalismo matematico utilizzato, non parliamo del fatto che il modello fornisca una “spiegazione” del fenomeno».

Proprio in tempi recenti si è visto un proliferare di nuove discipline pseudoscientifiche, tra le quali le scienze della comunicazione, le scienze turistiche, le scienze della montagna, ma… se tutto è ‘scienza’ allora è molto probabile che nulla lo sia veramente almeno nel senso tradizionale del termine.

Citando ancora Acerbi²:

Si potrebbe obiettare che le nuove scienze sono pur sempre in grado di proporre “modelli” ed utilizzare una qualche matematica (di solito un’infarinatura di statistica).
Può bastare per poterle chiamare “scienza”?

È scienza qualsiasi organizzazione del discorso che faccia ricorso alla matematica, indipendentemente da considerazioni di pertinenza o di rilevanza, o addirittura sensatezza del discorso stesso?

Purtroppo tali considerazioni non valgono soltanto per le nuove discipline ma si possono estendere anche alle scienze tradizionali influenzate anche loro dal milieu (sub)culturale appena descritto.

Il passo finale: Abolizione delle teorie

Potrà sembrare paradossale ma molte teorie scientifiche fanno a meno della razionalità e del pensiero dell’uomo.

Un esempio di ciò è rappresentato dalla “Data Science” dove si analizzano i dati a disposizione rinunciando ad elaborare una teoria per spiegare i fenomeni ed interpretarli. Il “machine learning” e gli algoritmi di autoapprendimento funzionano autonomamente al di fuori del controllo umano dello scienziato.

La comunità scientifica ha ampiamente discusso di ciò ma ovviamente, come per altre posizioni sgradite, non troviamo traccia di tale dibattito nei media tradizionali. Consideriamo utili citare le parti salienti di un interessante contributo di A. Vulpiani³:

Secondo alcuni, con la disponibilità di grandi moli di informazioni, saremmo di fronte ad una nuova rivoluzione scientifica: la possibilità di fare scienza attraverso l’analisi di dati avrebbe così creato un quarto paradigma4.

Alle tre metodologie già esistenti: il metodo sperimentale, quello teorico matematico e quello computazionale (simulazioni numeriche), si aggiungerebbe ora un nuovo approccio, consistente nel navigare in un mare sconfinato di dati alla ricerca di regolarità non direttamente osservabili e non teoricamente prevedibili.

Prosegue Vulpiani:

Il guru informatico Chris Anderson è arrivato a sostenere, in un articolo dal titolo esplicitamente provocatorio, The End of Theory: The Data Deluge Makes the Scientific Method Obsolete, che ormai «la grande quantità di dati a disposizione rende il metodo scientifico obsoleto… i petabyte ci consentono di dire “la correlazione è sufficiente”, possiamo smettere di cercare modelli»: non è più necessario studiare teorie generali, prendiamo i dati da internet, trattiamoli al computer con opportuni algoritmi statistici (magari usando software scaricato dalla rete) e avremo tutto quello che ci serve. Uno degli slogan ricorrenti dei profeti dei Big Data è: basta la correlazione…

Tale approccio si basa essenzialmente sulla con/fusione tra i concetti correlazione e causazione (si vedano gli articoli citati oppure qui5

Nella letteratura scientifica non solo si sono messi in evidenza i fallimenti della ‘scienza’ basata unicamente sulle correlazioni ma si è anche discusso sulle motivazioni di tali fallimenti6:

Quando si vanno ad analizzare lo cose un po’ più in profondità diventa chiaro che un approccio puramente induttivo basato sui Big Data non può che fallire se si cerca di fare previsioni evitando modelli matematici.

Il motivo è in un ben noto risultato, intuito da Boltzmann e formalizzato da Kac: il tempo medio di ricorrenza cresce esponenzialmente con le dimensioni del sistema7.

In sostanza non possiamo sperare di fare scienza, almeno quella interessante, in automatico: dobbiamo rassegnarci a studiare e farci venire qualche buona idea.

Conseguenze

Come abbiamo già osservato, nonostante le criticità di questo approccio il solito pilota automatico non consente distrazioni, non sono possibili cambi di direzione: ecco che i big data diventano essenziali per la realizzazione dell’agenda 2030, della “sostenibilità” o semplicemente per fare profitti.

Assodato che la strada sia tracciata, rimane solamente la possibilità di interrogarci su quali saranno le conseguenze di tale cambiamento nella scienza, ne discuteremo in breve alcune.

Una prima conseguenza riguarda il confronto tra le idee.

Se si elimina la razionalità (intesa come organizzazione razionale dei fenomeni e delle esperienze) dal discorso scientifico, automaticamente perde di senso qualsiasi dibattito tra posizioni e visioni differenti.

Per il momento la censura (così come i filtri “meritocratici” della carriera, del reclutamento e dell’accesso ai fondi) ricopre un ruolo importante in quanto si ha ancora la possibilità, seppur piccolissima, di discutere tra chi crede nella scienza teologica e chi resta ad operare nel solco della scienza razionale, ed è quindi ancora necessario distorcere il dibattito per far prevalere i primi.

Non è difficile però intravedere i prossimi sviluppi: presto grazie a ‘big data’, ‘data science’ e intelligenza artificiale, non sarà nemmeno più necessario invocare una teoria scientifica, uno studio, una scoperta o un articolo su una rivista prestigiosa.

Saranno i dati stessi a parlare come un oracolo e sarà completamente assente il controllo del mondo scientifico-accademico. In tal modo non esisterà nessuna posizione “scomoda” da censurare o combattere.

A decidere saranno i padroni (privati e multinazionali) dei dati, degli algoritmi e delle risorse per elaborarli. Essi forniranno dati e analisi e di conseguenza non sarà possibile opporsi all’interno del nuovo “paradigma teoscientifico”.

Le figure del divulgatore e dell’esperto non saranno allora più necessarie, poiché non ci sarà nulla da spiegare, nemmeno in forma magico sensazionalistica. Possiamo immaginare che la voce artificiale di un ‘avatar’ sarà sufficiente ad elencare le conclusioni delle analisi “scientifiche” dei dati e le relative istruzioni da seguire.

Possiamo supporre che anche le leggi verranno assoggettate alle autorità dei dati, esse potranno essere adattate regolarmente ogni qualvolta sia disponibile una nuova analisi. Un esempio di ciò è rappresentato, nell’ambito della “pandemia”, dall’elenco delle libertà concesse ai cittadini, che viene reso pubblico ogni due settimane e basato su dati non verificabili e di dubbia provenienza, sulla base di algoritmi privi di razionalità scientifica.

In conformità all’analisi dei dati (privati) si decide (e si deciderà) quali siano i comportamenti da seguire, quali diritti sospendere e quali nuovi doveri imporre.

Come ulteriore conseguenza della nuova ‘scienza’ assisteremo al definitivo superamento delle costituzioni, cosa che a dir il vero già accade de facto, ma con il giustificativo pseudoscientifico che da occasionale e raffazzonato diventa strutturale, si vedrà alfine realizzato il ‘governo della scienza’, la scientocrazia.

È interessante anche chiedersi quali saranno le ricadute sulla qualità della produzione scientifica. Abbiamo già discusso in precedenza dell’importanza delle teorie scientifiche per l’ideazione della cosiddetta tecnologia scientifica.

Partendo dall’analisi del reale si costruisce una teoria i cui elementi conservano solamente alcune delle caratteristiche degli oggetti effettivamente osservati.

Ciò permette più facilmente la manipolazione di tali oggetti teorici e grazie al metodo ipotetico deduttivo e dimostrativo è possibile ottenere oggetti teorici non presenti in natura, cioè la tecnologia scientifica.

Se il sogno della scienza moderna è far a meno delle teorie e del controllo umano dello scienziato, è d’obbligo chiedersi se ciò comporterà anche la fine del principale prodotto delle teorie scientifiche, cioè della progettazione scientifica della tecnologia.

Assisteremo al collasso tecnologico o all’avverarsi del sogno dell’auto-replicazione della tecnologia, cioè di una tecnologia che si sviluppa autonomamente senza il contributo attivo dell’uomo?

Conclusione

Terminiamo questo intervento con un quesito più profondo che meriterebbe molto più tempo e spazio per essere indagato: osservando la direzione in cui vanno la scienza e la società umana, viene spontaneo interrogarsi sui motivi che spingono l’uomo a sognare di delegare tutto, compreso il libero arbitrio, alle macchine.

Paradossalmente in tutto ciò si potrebbe riscontrare un delirio di onnipotenza: a qualcuno forse verrebbe la tentazione di paragonarsi al Dio creatore che dopo la creazione dona alle creature il libero arbitrio e le lascia libere a loro volta di creare.

È pure possibile che molti già si immedesimino nelle macchine e pensino che, grazie al transumanesimo e all’intelligenza artificiale, presto la dicotomia uomo/macchina cesserà di esistere.

Viene da pensare che, come al solito, la maggior parte degli scienziati, intellettuali e politici non si ponga molte domande su ciò che fa, segua semplicemente la scia delle risorse economiche, dell’ego, del conformismo culturale, in una parola, dell’Agenda.

[1] Fabio Acerbi, Koinè, Periodico culturale, Anno X, nn. 1-2, Gennaio-Giugno 2002, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, pp. 197-243;
[2] Fabio Acerbi, Punti Critici N° 4 (Febbraio 2001);
[3] Angelo Vulpiani, Big Data: una vera rivoluzione scientifica?;
[4] T. Hey et al., The Fourth Paradigm: Data Intensive Scientific Discovery, Microsoft Research 2009;
[5] Nel sito Roars.it vi sono molti contributi sul tema, si può consultare ad esempio https://www.roars.it/online/la-scienza-nellera-dei-big-data/
);
[6] Stesso contributo citato alla nota n.3;
[7] F. Cecconi, M. Cencini, M. Falcioni and A. Vulpiani, Predicting the future from the past: An old problem from a modern perspective, American Journal of Physics 80, 1001 (2012);
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[…] Inutile dilungarsi sulla rilevanza e sulla fondatezza di simili “miglioramenti”, specchietti per le allodole volti a creare consenso attorno alla mostruosità di turno e a nasconderne i pericoli, pur macroscopici, in termini di limitazione delle libertà individuali e di controllo. […]

lo
ciao
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