No-Musk: contro il subumanesimo strisciante

Tra i più celebrati e sorprendenti risultati della ricerca recente sull’Intelligenza Artificiale vanno sicuramente annoverati i progressi dei cosiddetti modelli linguistici (Language Models). Nati per analizzare grandi volumi di dati testuali con lo scopo di prevedere la probabilità di una determinata sequenza di parole all’interno di una frase, sono alla base della comunicazione uomo-macchina e trovano applicazioni pratiche nei campi più disparati, dalla finanza alla telemedicina.

In questo ambito il primato va per ora alla Cina che ha da poco sviluppato Wu Dao 2.0, il più grande modello esistente con i suoi 175 trilioni di parametri, addestrato con 4.9 TB di dati testuali e immagini di alta qualità, in grado secondo i suoi creatori di simulare conversazioni, scrivere poemi in cinese, riconoscere immagini e molto altro ancora.

In una serie di interviste Elon Musk, notoriamente impegnato in diversi progetti imprenditoriali che guardano al futuro, ha dichiarato che la sua start-up Neuralink, attiva nello sviluppo di interfacce che permettono di collegare il cervello direttamente ad un computer, ha messo a punto un chip che permetterà in futuro di comunicare direttamente tra cervelli, senza far ricorso alla parola: secondo Musk, entro 10 anni il linguaggio potrebbe essere obsoleto.

Nonostante i continui progressi, l’intelligenza artificiale è ben lontana dalla creazione di macchine in grado di parlare e comprendere il linguaggio, ma è comunque curioso che nell’era degli scrittori-robot, mentre ci si sforza di “umanizzare” le macchine facendogli acquisire capacità linguistiche, un personaggio come Musk ipotizzi che l’uomo possa dire addio al linguaggio.

Si potrebbe essere tentati, non senza qualche ragione, di liquidare le parole di Musk come l’ennesima sparata di un miliardario egocentrico, troppo ricco per rinunciare a giocare al demiurgo, tuttavia riteniamo che non vadano ignorate, realizzabile o meno che sia la sua previsione.

Non vogliamo affrontare in questa sede il dibattito filosofico e scientifico che in occidente, a partire dal Cratilo di Platone, indaga il rapporto tra pensiero e linguaggio e tra linguaggio e realtà, materia oltremodo complessa e per molti aspetti ancora misteriosa, né quello attorno al concetto di Logos, a cavallo tra filosofia e teologia, campi che non abbiamo difficoltà a immaginare molto lontani dagli interessi di Musk.

Vogliamo piuttosto riflettere brevemente sull’ennesimo “prodotto” di una concezione dell’uomo che caratterizza buona parte delle élite globaliste, e che è stata ben illustrata, per citare gli esempi più noti, nel libro “La quarta rivoluzione industriale”, scritto da Klaus Schwab, fondatore e presidente del World Economic Forum di Davos, oltre che nei lavori dello svedese Nick Bostrom, filosofo di Oxford e fondatore della World Transhumanist Association.

L’uomo è obsoleto, dichiara innanzitutto Musk da buon transumanista, e va migliorato, riprogrammato, utilizzando gli strumenti, sempre più potenti, che il progresso tecnologico mette a disposizione.

La bontà di questo “reset” è raramente oggetto di discussione, e trasformazioni traumatiche vengono spesso giustificate in modo grottesco: nel caso in oggetto la “tecno-telepatia” tramite chip cerebrali sarebbe da preferire all’uso del linguaggio in quanto la comunicazione ne risulterebbe più veloce e precisa.

Inutile dilungarsi sulla rilevanza e sulla fondatezza di simili “miglioramenti”, specchietti per le allodole volti a creare consenso attorno alla mostruosità di turno e a nasconderne i pericoli, pur macroscopici, in termini di limitazione delle libertà individuali e di controllo.

Altro aspetto ricorrente è la rozzezza della visione di fondo, il crudo riduzionismo, al quale solo l’imbarbarimento culturale contemporaneo può attribuire i crismi della scientificità. Musk non sembra vedere nel linguaggio altro che un meccanismo tramite il quale il cervello “comprime” concetti complessi in parole, meccanismo che definisce “inefficiente” in termini di perdita di informazione.

L’accelerazione senza scrupoli del progresso tecnologico, nei sogni gnostici dei demiurghi, è vista come uno strumento indispensabile per arrivare a quella che Eric Voegelin chiama “l’immanentizzazione dell’eschaton”, e cioè la creazione di una sorta di paradiso terrestre senza Dio, chiuso ermeticamente a ogni prospettiva trascendente e, va da sé, ad ogni critica.

C’è di peggio.

Secondo l’economista e filosofo Bruno Bertez, “il Sistema, per far funzionare al meglio l’Intelligenza Artificiale (IA), ha bisogno di rendere i nostri simili essi stessi “computerizzabili”, standard, classificabili e dunque permeabili dalla IA medesima. Questo accanimento a promuovere l’intelligenza artificiale va interpretato come una volontà satanica di abbassare l’umano. Di inghiottirlo, di negare ciò che è specifico dell’umano: la coscienza, la morale, l’autenticità, l’aspirazione alla giustizia, alla libertà”.

“Rendere gli esseri umani permeabili dalla IA medesima”: che le apparenti buone intenzioni dei tecnocrati nascondano scopi inquietanti sembra trovare conferme in Europa e in particolare in Italia.

Osserviamo infatti che nel nostro paese, dietro il paravento sempre più sottile e lacerato della lotta al Covid, media di regime, politici, giullari di corte con cattedra universitaria e conduttori di programmi televisivi, imprenditori e influencer di ogni sorta, lavorano alacremente e all’unisono per imporre un tipo umano ben definito: omologato, imbelle, incapace di leggere la complessità del reale e proprio per questo sempre pronto ad “affidarsi alla scienza” anche quando gli vengono offerte (imposte?) “spiegazioni” prive di coerenza logica o di basi empiriche. Docili creature, indistinguibili l’una dall’altra, mentalmente malleabili o, meglio, “programmabili” attraverso una scientifica, martellante, minacciosa opera di condizionamento su più fronti, versioni aggiornate dei “gorilla ammaestrati” di gramsciana memoria.

Non è forse un caso che per il transumanista Schwab, il Covid rappresenti una “finestra di opportunità” più unica che rara per rimodellare la società secondo le linee stabilite in quel grande laboratorio che è il Forum di Davos.

Giorgio Agamben sembra cogliere il punto quando dice:

È come se il potere cercasse di afferrare a ogni costo la nuda vita che ha prodotto e, tuttavia, per quanto si sforzi di appropriarsene e controllarla con ogni possibile dispositivo, non più soltanto poliziesco, ma anche medico e tecnologico, essa non potrà che sfuggirgli, perché è per definizione inafferabile. Governare la nuda vita è la follia del nostro tempo. Uomini ridotti alla loro pura esistenza biologica non sono più umani, governo degli uomini e governo delle cose coincidono.

Il progetto deumanizzante che Bertez intuisce dietro gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, è lo stesso che Agamben scorge dietro la gestione della pandemia.

Sempre il filosofo romano stabilisce un legame tra la parola e il volto, entrambi sotto attacco da parte del potere. No-mask e No-Musk possono far fronte comune:

Quando pensiero e linguaggio si dividono, si crede di poter parlare dimenticando che si sta parlando. Poesia e filosofia, mentre dicono qualcosa, non dimenticano che stanno dicendo, ricordano il linguaggio. Se ci si ricorda del linguaggio, se non si dimentica che possiamo parlare, allora siamo più liberi, non siamo costretti alle cose e alle regole. Il linguaggio non è uno strumento, è il nostro volto, l’aperto in cui siamo.

Il volto è la cosa più umana, l’uomo ha un volto e non semplicemente un muso o una faccia, perché dimora nell’aperto, perché nel suo volto si espone e comunica. Per questo il volto è il luogo della politica. Il nostro tempo impolitico non vuole vedere il proprio volto, lo tiene a distanza, lo maschera e copre. Non devono esserci più volti, ma solo numeri e cifre. Anche il tiranno è senza volto.

Il “tempo impolitico” esige unità intercambiabili, senza volto, al posto degli uomini, resi innocui con la promessa di una sicurezza asintotica, chimerica, in cambio dell’espropriazione progressiva di quanto di più umano è in essi. L’obsolescenza del linguaggio, vista da Musk nella sua sfera di cristallo, sarebbe solo un altro tragico passo in questa direzione.

Prima ancora di affrontare la degenerazione della politica è necessario arrestare questa deriva subumanista. Non esiste “polis” per i subumani, soltanto una distesa uniforme di asettiche, tecnologiche gabbie.

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