La panna montata sul cadavere

Informarsi è difficile. Quello che passano i canali più diffusi e tradizionali è funzionale a un’idea a monte che vuole dividere, polarizzare, enfatizzare appartenenze e idiosincrasie. L’uso distorto dei media per condizionare l’opinione ha portato alla non credibilità degli stessi. C’è un sapore condizionato a monte che spicca su tutto, si avverte, a volte, all’odore, altre sopraggiunge come un retrogusto, spesso sovrasta i contenuti. I fatti stessi, le istanze prevalenti, derivano da una mistificazione che fa della realtà una panna montata. La guerra, l’approvviggionamento energetico, i nuovi equilibri internazionali diventano un reality show in cui premiare o cacciare un personaggio, un gratta-e-vinci espositivo in cui latita l’analisi e la valutazione critica degli eventi e degli scenari possibili. Nessuna previsione di analisti di professione ha retto nel medio periodo, perché dovevano tutti sostenere una sinderesi di morale preconfezionata che nulla atteneva con la realtà.

Quello che è certo, senza neanche smontare la panna, è il suicidio dell’Occidente. Forse il comparto anglo-atlantico non riesce più a sostenere il suo impegno imperiale e da impero, si sa, non ci si dimette. Forse le nuove generazioni, formate da modelli d’istruzione procedurali e tecnicistici, non hanno gli strumenti cognitivi per affrontare i cedimenti di un sistema complesso che richiederebbe visione, immaginazione di alternative e invece incontra solo specializzazione e vedute ristrette.

Che interi gruppi di comando possano fondare le loro decisioni su temi quali la fluidità di genere, il cambiamento climatico, il dirigismo sanitario appare di per sé eccepibile. Peggio ancora, questo posticcio impianto concettuale è raffazzonato in configurazioni infantili, impartite con fanatismo settario, mancanti di una valutazione storica e di prospettiva a venire.

Così, un sistema complesso gestito con modelli riduzionistici, secondo logiche cartesiane algoritmizzate, in base a categorie massimaliste quanto inconsistenti, non sopravvive a sé stesso.

Se il sistema è morto, resta un suo elemento con tutte le sue caratteristiche e necessità: l’uomo. Forse questo spiega come si tenti di limitare la portata del problema, riducendone numeri in termini meramente malthusiani o tentando velleitariamente un processo di disumanizzazione. Se non si è in grado di gestire il sistema complesso in cui l’uomo conduce la sua quotidianità, in mancanza di alternative praticabili, si cerca di eliminare il fattore umano.

Anche questo mi appassiona fino a un certo punto, come ho scritto su Atlantide e la forza nascosta . Il nostro destino sul globo terraqueo è incerto, subordinato e comprensibile solo osservandolo nella sua continuità storica. C’è molto da dire e proverò a dirlo successivamente. Quello che resta di quanto detto ora è la difficoltà di interessarsi e raccontare un sistema morto, che per inerzia spasmodica frusta le sue contrazioni involontarie prive di intenzione. E non è per me opportuno rimestare la panna montata con cui si vuole nascondere la salma, del tutto estraneo alla tassidermia e alla necro-cosmesi.

Informarsi è difficile, raccontare questo tempo è più impossibile che abitarlo.

Resta l’uomo.

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