Il paese dei balocchi? 

“Come tutti gli uomini di Babilonia, sono stato proconsole, come tutti schiavo”, così inizia il racconto La lotteria di Babilonia di J. L. Borges.

In esso si descrive l’attrazione irresistibile che l’azzardo, le combinazioni del caso esercitano sull’uomo, da sempre, e come questa attrazione – se ci si limita ai premi in moneta – sia fortemente pretesa (come un diritto) proprio dai poveri


È la fiera della speranza, vale la pena conoscerne le manifestazioni anche ai giorni nostri. Scegliamo una a caso di queste sedi di tale “fiera”: sono le 10 e 45 di mattina e sta aprendo i battenti, le donne delle pulizie entrano a riattivare ciò che era rimasto sonnacchioso dalla sera precedente… infatti sta per iniziare una lunga attività che durerà fino alle 23, alle soglie della notte. Ma già, di fuori, c’è qualche sparuto avventore che aspetta di accedere a quella sala buia, rischiarata solo dai lampi delle macchine, dagli schermi, dalle poche luci soffuse agli angoli.

Inizia ora un flusso ininterrotto che diventa permanenza, attesa, abbandono quasi. Le facce sono per lo più quelle di anziani dalle guance ispide e malrasate, ma non mancano giovani garzoni degli empori limitrofi… si conoscono tutti, ormai fanno parte dello stesso collaudato copione. Il sottofondo sonoro è quello di un brusìo indistinto ma – ogni tanto – un sobbalzo, un grido eccitato… una vincita? un risultato?

Non ci sono donne, le donne stanno a casa, non devono vedere, non devono sapere… stanno a combattere le pene di mandar avanti la casa, metter su uno straccio di sopravvivenza senza quelle risorse che sarebbero preziose, forse vitali di quei soldi della pensione che si trasformano in figurine colorate delle slot, in scontrini legati a questo o quel cavallo che sfreccia sullo schermo lassù… Correntemente si usa dire “giocarsi la pensione”, con tutto quello che di sconvolgente questa espressione possa dire.

Queste “caverne” platoniche dedicate alla fiera della speranza sono ormai in ogni quartiere, talvolta in più di una sede; ubicate in punti nodali, svincoli di strade principali, uscite di metropolitane, fermate di bus principali. Nelle vicinanze non manca quasi mai un ‘compro oro‘… acquattato in agguato. Accanto a noi, senza che – ormai – ce ne rendiamo più conto, si svolge uno spregiudicato flusso di denaro che passa dalle tasche dei poveri (quasi sempre) alle casse di… già di chi? Sappiamo che anche lo Stato gode dell’afflusso di molta parte di questa triste prodigalità, ma sospettiamo (si fa per dire) che anche altre mani si arricchiscano di tale ricchezza; e ci vengono in mente domande semplici e ingenue: quanto è il giro d’affari complessivo?  

Si tratta di ricchezza drenata dalle famiglie, una redistribuzione di fatto senza alcun criterio di equità e di opportunità, chi ha in mano il controllo del settore? Quanta trasparenza c’è sulla concentrazione dei vari asset e delle varie società che fungono da “vasi comunicanti”? 

Si parla di un’evasione di tasse di diversi miliardi… per le sole slot? O per tutto il settore? Il 10 settembre 2015 IlSole24ore ritornava sull’argomento pubblicando un articolo in cui dichiarava trattarsi di un danno erariale di 89 (!) miliardi – corrispondente a diverse manovre di bilancio, aggiungeva -; ne spiegava anche le dinamiche: bastava che le slot-machine dell’esercizio (anche e soprattutto piccolo, magari poco in vista) rimanessero scollegate dalla rete per “ovviare” al controllo degli organi statali preposti. La cifra era – allora – spaventosa, ma ci permettiamo di chiedere: le cose sono cambiate? C’è poi un’ultima domanda: quanto ci guadagna lo Stato?

Ci vergogniamo un po’ a scrivere questa parola con la maiuscola, in tali casi. Già, perché trattandosi di una spaventosa redistribuzione di ricchezza – già di per sé sperequata – essa si carica ancor più negativamente se viene a mancare anche a valle il controllo e la gestione (in che direzione vanno riallocate tali montagne di denaro?) democratica. E non c’è bisogno di mettersi il cappello del moralista per sentirsi a disagio, dissonanti, disgustati di fronte a questo mercato della speranza a questi casinò dei poveri, a queste sirene della buona sorte perché la loro ferocia trasuda da ogni parte


Lasciamo allo spartito dell’ipocrisia l’eccezione che si tratti di libera scelta, magari anche consapevole, quella di quei forzati dell’azzardo; irricevibile obiezione!

Rimane la assoluta gravità del fatto che tutto il fenomeno si regge sulla dipendenza, sulla patologica sudditanza che necessariamente si crea nel soggetto; del tutto assimilabile a quella del drogato o dell’affetto da bulimia da cibo. Dipendenza da cui nessuno ti aiuta ad uscire e la cui prognosi prevede solo la distruzione personale e familiare. Lo stato da parte sua si limita a contare il profitto che ne ricava.  

E, di nuovo, non serve il cappello del moralista per denunciare come la capillarità, la totale visibilità e facilità di accesso di tali sedi costituiscano un’aggravante innegabile in termini di incitamento, di invito alla prova, di diffusione della piaga: come reagisce un giovane di fronte a tale deriva, a tale quotidianità? 

Disastro educativo che – QUI – ci limitiamo a definire colposo. 

E non valgono le obiezioni di “ci sono sempre state le occasioni per il gioco d’azzardo“ perchè il passaggio dalla clandestinità alla diffusione esibita e magnificata è proprio il salto negativo che si sta denunciando.  A scanso di equivoci, siamo perfettamente in grado di leggere il messaggio (il solito) di matrice ideologica liberista che vi è sotteso: “qualcuno vince, quindi ce la puoi fare anche tu” che si traduce “se non vinci vuol dire che non lo meriti”… 


Sappiamo che (come dice Borges con cui abbiamo iniziato) “Babilonia (ossia la nostra società N.d.R.)… non è altro che un infinito gioco d’azzardo”. 

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