A ME GLI OCCHI… 

 

Quand’è che facciamo una cosa di getto, prontamente, di istinto? 

Magari una cosa che proprio non riuscivamo a fare prima? Ciò avviene quando lo facciamo “senza pensarci” o -come si dice- “senza por tempo in mezzo “. Infatti è proprio quando non abbiamo tempo che non riusciamo a pensare, a riflettere. Quando ogni cosa scorre velocemente, senza sosta o -addirittura- accelera, sentiamo che la giostra gira, gira sempre più forte… così che non possiamo fermarci a riflettere. 

La velocità è inversamente proporzionale al pensarci su. 

Ed è proprio questa leva che il potere, negli ultimi decenni, ha sfruttato sempre più: far andare le cose di corsa, infarcire le giornate di cose e di cose… al punto che oltre che del respiro siamo privati anche del pensiero.  Se guardiamo alle giornate delle mamme con i bambini sarebbe facile scherzare su quelle agende sempre più zeppe di impegni (scuola, calcio, danza, compiti…); e questo quando va tutto bene, ma pensiamo anche alle sfibranti giornate di chi è costretto -per bisogno- al doppio lavoro, o triplo come quasi sempre avviene per la donna per le note condizionalità familiari.

Come si fa ad arrivare al termine della giornata e trovare (aver trovato) il tempo per fermarsi a riflettere? Appunto, fermarsi…un miraggio! Si capisce come la norma diffusa sia purtroppo quella di lasciarsi crollare ad un necessario “stacco”, un riposo quanto mai igienico: ma si tratta pur sempre di uno stacco anche da ciò che potrebbe giovare. 

La velocità, il “fare presto” è figurativamente lo stipare sempre più cose in quel cassetto temporale fino a che non ci sia più posto per null’altroma cosa succede quando non si ha tempo per pensare, per riflettere? Questa dolorosa privazione (anche di consapevolizzare le proprie emozioni!)  ci espone indifesi ad ogni attacco del potere; ad ogni sua parola d’ordine di occhiuta gestione e controllo delle nostre vite. 

La velocità, la rapidità delle cose è stata sapientemente sfruttata (progettata?) contro di noi. 

Chi non ricorda quando nacquero i “fast-food”? Mangiare veloci (che poi pareva brutto dire “ingozzatevi di corsa e di nuovo sotto a chi tocca”). Qualche anima buona -intuendo dove si andava a parare- contrappose lo “sloow-food”, orientando quel momento così carico di significati alla qualità e alla genuinità della sua produzione. 

Ma la diga era rotta. Tutto si deve mettere al passo di tempi stretti e senza soluzione di continuità. 

La stessa percezione estetica si modulava sui ritmi che i nuovi media di massa delle TV private in quegli anni impostavano: il montaggio analogico era ormai rottamato per inquadrature che potevano al massimo durare un paio di secondi; i vecchi sceneggiati televisivi divenivano al confronto “insopportabili”. 

Tutto si doveva comprimere per far posto alla pubblicità (cosa che denunciò anche un Zeffirelli -non ancora convertito al nuovo verbo commerciale- come snaturante della vera opera d’arte). 

Certo sotteso a questo panorama c’era una tecnologia ormai miracolistica. 

Ma non solo, c’era anche dell’altro, insidioso. 

I costumi ad esempio, intesi come comportamenti sociali, dove i centri di potere dettavano addirittura i termini della maturazione dell’individuo: con una scuola sempre più tecnocratica (basata su quiz e risposte “giuste”) e parametrata su tempi (teorici e artificiali) sempre più precoci. L’apprendimento? non abita più qui…

Tutto deve avvenire prima; con corollari assai delicati come il tema della maturità sessuale che spinge bambini sempre più adultizzati ad atteggiamenti, pose e mode assai equivoci (omissis)… 

La tecnologia, dicevamo, che non offre ma impone. Standard sempre più fulminei ma del tutto non richiesti: come ad esempio la fibra ottica che permette di scaricare con qualche secondo in meno il filmetto che la famigliola si riunisce a guardare alla fine della giornata-tipo: tempo liberato che libero non è ma solo una sua illusione. 

Quale correlazione cogliamo in questo panorama? che una dimensione “non pensante” è assai utile alle logiche del potere. 

“A me gli occhi, please!” e “fallo quando te lo dico io”, 

“non pensarci, fallo e basta!” 

Tornare al vero tempo liberato -quello degli spazi mentali- non sarà facile, dal momento che tutto il sistema, impostato su ritmi alienanti, è strettamente interagente: lavoro, scuola, riposo, cura di sé… 

Chi comanda batte il ritmo sul tamburo: “Remate e vivete!” 

“Vivete e remate”. 

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marco
marco
1 anno fa

Esattamente

lo
ciao
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