Lasciar decidere gli esperti non ci rende meno responsabili

Il dilemma del carrello ferroviario ci pone davanti a un problema etico.

Immaginiamo un tram senza conducente che prosegue la sua corsa, senza possibilità di essere fermato. Sui binari sono legate cinque persone. Il treno può evitarle soltanto modificando la sua traiettoria per mezzo di deviatoio. Azionando lo scambio il tram cambierà traiettoria, virando su un binario cui è legata solo una persona.
Noi siamo gli unici a poter manovrare lo scambio. Dobbiamo prendere una decisione. Lasciare che il tram prosegua la sua marcia verso le cinque persone o decidere di sacrificare la persona legata sul binario alternativo.

In un certo senso possiamo assumere le forme di una divinità, scegliere chi salvare, decidere le sorti del prossimo.

Utilizzare lo scambio pensando al male minore? Non fare nulla per sentirsi meno responsabili delle conseguenze?
Compiere una azione ci rende forse più responsabili del lasciare andare tutto così come è, pur avendo avuto la possibilità di intervenire?

Intelligenzza Artificiale

Questo dilemma è tornato all’attenzione pubblica in tema di Intelligenza Artificiale (IA).
Un’auto a guida automatica come dovrà comportarsi, se posta davanti alla scelta di agire, per salvare i passeggeri procurando la probabile morte di altre persone?
L’interesse per le scelte morali non riguarda soltanto lo sviluppo di futuribili IA anzi, secondo noi, ricondurre tale questione soltanto al settore delle nuove tecnologie è estremamente riduttivo.

Pandemia

L’esplosione della pandemia di coronavirus ci ha costretti a ripensare il nostro stile di vita. Ciò che prima consideravamo normale ci è stato impedito per questioni di salute pubblica.

Incontrarsi con i propri affetti, andare a scuola, recarsi al lavoro, stare con gli amici, comprare un vestito, guardare un film al cinema, visitare un museo, fare sport e tanto altro.
Tutto questo è diventato di colpo “il passato”, perché “dobbiamo cambiare le nostre abitudini”.

Attualmente molte delle misure di sicurezza sono state allentate ma restano in vigore specifiche normative, con il dichiarato scopo di evitare il diffondersi del virus.
Possiamo nuovamente stare in compagnia degli altri, però mantenendo le distanze e utilizzando la mascherina.

Questo modello di socialità non ha nulla di naturale. Tutto sembra finto, artificiale, vuoto, privo di prospettive.
La narrativa ufficiale ci aggiorna quotidianamente sulla diffusione del virus, sul numero dei contagiati, sul totale dei decessi.

Gli scienziati ci ricordano in ogni momento che il virus è estremamente pericoloso e che la sua diffusione è molto facile.

La politica ci dice che molto dipende da noi: dobbiamo stare distanti dagli altri, evitare i luoghi affollati, utilizzare i DPI, tenere buoni comportamenti igienici.
Insiste che non seguire in modo scrupoloso queste raccomandazioni ci renderebbe colpevoli di una eventuale ripartenza della pandemia e che dobbiamo fare la nostra parte perché difendere la società è una responsabilità che ci coinvolge tutti.

A parere nostro però una società senza socialità è soltanto una messa in scena priva di significato.
La socialità si basa sulla fiducia nel prossimo.

Bambini e socialità

Il bambino inizia a differenziare il Sé dall’altro da Sé nel rapporto con i suoi genitori. Nelle prime fasi dello sviluppo mentale non esiste un mondo esterno differenziato dalle sensazioni interne. Questa differenziazione inizia a strutturarsi tramite dinamiche di soddisfazione e frustrazione dei primi bisogni fisiologici.

Il bambino riuscirà a strutturare un Sé sano soltanto nel caso in cui un ambiente responsivo sarà in grado di gestire le sue prime esperienze di vita.
Un bambino sicuro è un bambino in grado di esplorare il mondo in modo positivo.
Un bambino sicuro sarà un adulto in grado di sviluppare relazioni umane soddisfacenti.

Non può esserci sviluppo umano senza la fiducia nel prossimo.
Non può esistere una società umana priva di fiducia nel prossimo.

Il prossimo come pericolo

Questa epidemia ci ha portato a vedere nel prossimo un pericolo, un possibile veicolo di contagio, una minaccia di morte.
Stiamo distanti dagli altri perché abbiamo paura di loro.
Stiamo separati dai nostri cari per evitare di contagiarli.
Allontaniamo il prossimo perché lo consideriamo un nemico.

Siamo diventati atomi sociali, privi di legami autentici.

La coscienza umana è la sintesi dei dati raccolti dai nostri organi di senso.
Per mesi abbiamo visto il mondo tramite la televisione e ascoltato i pareri degli esperti.
Evitiamo gusti e sapori perché potenziali veicoli di trasmissione del virus.
Toccare oggetti, stringere mani, abbracciarci, baciarsi: tutto socialmente rimosso, inibito, proibito.
I nostri sensi ci rendono umani, eliminare il contatto con il mondo esterno significa trasformarsi in automi, in esseri privi di coscienza, in materia priva di vita.

Torniamo al dilemma iniziale sulle scelte morali.
Se incontrassimo per strada una persona in difficoltà, saremmo pronti ad aiutarla guardandola, ascoltandola, toccandola? Ci sentiremmo in grado di accettare il rischio di contagiarci e di contagiare i nostri cari?
E se quella persona fossimo noi?

Sarebbe lecito aspettarci che qualcuno muova un dito per aiutarci, se noi per primi non siamo disposti a farlo?

L’esistenza umana è un sistema troppo complesso per poter definire con chiarezza cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.

Ogni scelta comporta delle responsabilità. Quando prendiamo una decisione ne definiamo le conseguenze future: una parte del destino si compirà, un’altra parte dell’universo del possibile scomparirà per sempre.

Non abbiamo risposte pronte.
La soluzione di un dilemma etico è necessariamente individuale.
Come società dovremmo però interrogarci sul senso generale delle decisioni.
Ad oggi ci sembra di poter affermare che per difendere la società umana da un virus stiamo uccidendo il concetto stesso di società.

Come per il dilemma dello scambio ferroviario, evitare di intervenire non ridurrà le nostre responsabilità.
Lasciar decidere gli esperti non ci rende meno responsabili.

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