La rotta del Titanic

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati.
A. GRAMSCI, Quaderni dal carcere

In un denso e ben motivato articolo, Dal Monte ha evidenziato con il consueto acume dei punti-chiave decisivi per tentare di avviare una risposta pratica al leniniano problema del “Che fare?”. Da tempo, infatti, risulta sempre più evidente la difficoltà di iniziare un qualsiasi progetto di alternativa per un problema fisiologico di costituzione del soggetto stesso. Senza delle fondamenta solide, nessuna costruzione resiste.

Allo stesso modo, un’alternativa ideologica, torneremo sul significato del termine, non può avviarsi senza prima aver definito cosa è e cosa vuole essere: e per far ciò, deve necessariamente avere delle lenti con cui leggere la realtà- ed elaborare così una critica radicale allo stato di cose presenti.

A un tempo, per evitare solipsismi da accademici boriosi, occorre lavorare e alla teoria e alla prassi, tentando di trovare una sintesi in grado di saldare nella realtà sociale, individuale, e di massa, il tentativo ideologico con le istanze di ognuno, in una dialettica che, sola, riesce storicamente a costruire un vero soggetto collettivo in grado di resistere e colpire.

I passeggeri del Titanic

Lo scempio sociale in cui, nostro malgrado, viviamo è l’estrema degenerazione di quella che già mezzo secolo fa Debord poteva definire “società dello spettacolo”, dove

“lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini, [una] visione del mondo che si è oggettivata […]
la realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale[1]

L’individuo contemporaneo non è nulla se non spettatore dello spettacolo, piccolissimo guitto in grado, grazie ai social, di partecipare all’orrida sceneggiata permanente della propria non-esistenza. In un simile degrado, abbaiare alla luna parlando di nobilissimi concetti senza considerare questo elemento appare del tutto inutile, se non dannoso.

Il dato antropologico rappresenta il punto di partenza: un’alternativa sociale si alimenta dalla sua fonte sociale d’origine. Oggi non abbiamo a disposizione né gli operai di Mirafiori né i braccianti del Vietnam: tentare di appiccicare alle masse rimbambite dal Truman show elementi di socialismo appare del tutto pretestuoso e inutile.

L’ideologia liberale, non a caso, ha vinto dopo aver messo in crisi e distrutto la presenza operaia in Occidente, sfruttando i lavoratori del terziario, convinti di essere dei novelli Gordon Gekko, come ariete per lo sfondamento definitivo.

Il dato di partenza dovrebbe risultare chiaro. L’uomo contemporaneo è un oggetto privo di qualsiasi elemento autonomo e coscienziale. Qualsiasi risveglio momentaneo, l’euro, il cd. Populismo, è avvenuto perché, pur partendo da istanze sacrosante, il sistema ha subito trovato una miserabile teoria di guitti con cui sterilizzare il dissenso, orientandolo su comodi binari di spettacolarizzazione inoffensiva e prezzolato inglobamento.

Da una bandiera all’altra, l’esperienza di questi tristi anni ci indica tante belle partenze terminate con infimi arrivi, perché le masse non hanno mai avuto altro ruolo che quello di assistere, con un like o un convegno, alla farsa della maschera di turno. Usando termini desueti, tra base e vertice non v’è mai stato confronto, ma sudditanza: la direzione di ogni movimento è stata quella voluta dai pupari, non certo dagli spettatori ignari.

Si può affermare che con l’attuale meccanismo mass-mediatico la massa crede a tutto quello che i padroni del palcoscenico vogliono inscenare. L’unico elemento attivo del gregge consiste nell’ostracizzare quei pochi che tentano di iniziare un ragionamento, confermando quel mito della caverna che già duemila anni fa Platone aveva magistralmente definito. Con questo materiale umano, ogni alternativa appare difficilissima.

L’iceberg

Purtuttavia, esiste un elemento sociale di anomia che non crede al culto ufficiale. Al netto delle etichette vessatorie, questi “anti/no” rappresentano l’iceberg che potrebbe, in determinate condizioni, mettere in difficoltà il Titanic.

Ad oggi, però, il gruppo antisociale risulta grandemente diviso, atomizzato, perché subisce le misure di difesa che il sistema ha da tempo costruito per evitare qualsiasi forma di alternativa. Non a caso, sono i social a convogliare forme di partecipazione dissidente, con l’assurdo che l’antitesi si muove sul palco della tesi stessa.

“Occorre uscire dal virtuale” è una frase ripetuta e ascoltata centinaia di volte, ma è purtroppo l’unica via di fuga a disposizione per costruire, in quella dimensione reale e vera che ci vogliono sempre più sottrarre, relazioni e confronti, riguadagnare umanità nell’incontro con l’altro per partecipare insieme a uno sforzo collettivo. Questo, per quanto attiene al dato pratico. Ma l’incontro può avvenire solo se prima si delinea il campo dell’azione intellettuale, cioè se si tenta di elaborare un pensiero che sia in grado di mobilitare quella porzione di umanità attiva, già presente e sommersa nel degrado contemporaneo.

Di fronte alle allucinazioni di massa, ai veri e propri deliri a cui siamo costretti ad assistere, una proposta intellettuale deve consentire l’avvio di un processo di ri-appropriazione della realtà, di ri-umanizzazione della società.

Non si tratta di cambiare questo o quell’elemento, bensì di distruggere radicalmente tutto ciò che opprime la nostra vita,dis-velandolo, mostrandone le cause originarie e l’evoluzione storiche, i motivi e gli attori coinvolti. Occorre, in sostanza, che l’iceberg si doti di una punta acuminata in grado di squarciare la pancia del Titanic, abbattendo ogni paratia costruita per nascondere e irretire. La nave deve affondare per permettere il salvataggio dei suoi passeggeri. 

Delle proposte

Come affermato da Dal Monte, il primo passo è individuale e consiste nel progressivo distacco dallo spettacolo permanente. Diventare atarassici non significa altro che fregarsene dei loro tentativi di eterodirezione e seguire la propria via, immuni dal tipo di emozioni che, quotidianamente, essi desiderano provocare nel nostro profondo. Anzi, l’atarassia oggi è la forma più radicale di impegno, se indirizzata alla ri-appropriazione della propria esistenza. A quel punto, dall’individuo si passa al gruppo, e con ciò subentra il problema dell’elaborazione collettiva.

“L’immagine reale dell’età” dev’essere realizzata attraverso un’elaborazione collettiva che, partendo dall’analisi, giunga a proporre varie forme di sintesi, su cui innestare proposte pratiche di alternativa politica e culturale. Ci permettiamo di lanciare alcuni punti, quasi delle provocazioni, su cui occorrerebbe lavorare insieme.

  1. Il disastro attuale non rappresenta una “deriva” del capitalismo, bensì la sua più esatta conclusione. Oggi ogni parte della realtà è mercificata, ridotta al rango di cosa che si compra e si vende. La vita dell’uomo non è altro che un continuo processo di mercificazione.
  1. Il capitalismo è una forma storica ben determinata, con meccanismi storico-istituzionali definiti, che si regge sul dominio di una élite sempre più ristretta. Non garantisce né l’espansione del benessere né la distribuzione della ricchezza. Suo unico scopo è l’auto-espansione del capitale: denaro-merce-più denaro. Una società capitalista è una società anti-umana, in cui il denaro è insieme mezzo e fine dell’azione sociale. Il dominio del feticismo della merce nella sua accezione più alta.
  1. Il capitalismo, lungi dall’essere un mero sistema economico, usa le scienze sociali per mascherare l’essenza del suo dominio, fondato sul monopolio della moneta da parte di una ristrettissima classe cosmopolita. La divisione in classi è conseguente all’appropriazione originaria da parte di determinate élite del monopolio monetario. Il conflitto tra capitale produttivo e capitale finanziario è un tipico esempio di lotta di classe interna alla classe dominante.
  1. Il capitalismo è un fenomeno che, a sua volta, serve una determinata visione del mondo. Il sistema politico-economico, nella sua totalità, risulta uno strumento per fini di trasformazione della realtà umana sempre più evidenti, e devastanti.
  2. Tutte le costruzioni scientifiche del mondo contemporaneo derivano da determinati postulati epistemologici storicamente determinati nei due secoli a noi precedenti. La loro progressiva dogmatizzazione, distruggendo ogni dibattito critico, mostra quanto a fondo sia arrivato il processo egemonico del dominio capitalistico.
  3. L’alternativa socialista ha storicamente rappresentato una valida forma di lotta al dominio del capitale, garantendo quei margini di dignità che hanno rallentato il processo oggi in atto. Tuttavia, il socialismo (per come si è determinato storicamente) ha alla base delle contaminazioni materialistiche che hanno determinato la sua progressiva distruzione da parte dei marxisti: il mito del progresso, la concezione ascendente della storia, il messianismo, il settarismo.
  4. Una rilettura in chiave contemporanea del pensiero di Marx può essere di grande giovamento, a patto che si scinda dalle successive esperienze storiche di socialismo reale. Questo vale per tutti i pensatori, da Rosa Luxemburg a Gramsci, passando per Keynes e gli economisti “dissidenti”. Il dogmatismo è un vizio a ogni latitudine del non-pensiero, così come le mitizzazioni in blocco di fasi storiche.
  5. Le scienze sociali vanno completamente rielaborate perché sono le ancelle ideologiche del dominio capitalistico. La parabola dell’economia “anti-euro” dovrebbe ormai aver aperto gli occhi a chiunque.

Questi punti servono soltanto come provocazione per un dibattito che, speriamo, possa coinvolgere il numero maggiore di persone. Lo scopo, in fondo, non è quello di costruire un’ideologia alternativa, ma di arrivare alla comprensione della copertura ideologica in cui siamo immersi, strumentale perché

un’ideologia è qualcosa di più di una Weltanschauung. Ovviamente, in ogni momento e in ogni luogo, sono sempre esistite una o più Weltanschauungen che hanno determinato l’interpretazione che gli individui davano del mondo in cui vivevano. E gli individui hanno sempre costruito la realtà attraverso lenti comuni storicamente determinate. Un’ideologia è una Weltanschauung di questo tipo, ma di un genere molto particolare, formulata deliberatamente e collettivamente con obiettivi politici consapevoli. Dall’uso di questa definizione di ideologia deriva che questo tipo particolare di Weltanschauung poteva essere costruita solo in una situazione in cui l’opinione pubblica avesse accettato la normalità del cambiamento. La formulazione consapevole di un’ideologia diventa necessaria solo se si ritiene che il cambiamento sia normale e che sia dunque utile formulare obiettivi politici consapevoli di medio termine.

La retorica del cambiamento continuo, (voluto da chi? Per arrivare a cosa?), è connaturata alla realtà capitalistica e ci ha condotto allo sfascio umano e morale attuale.

L’idea di «normalità del cambiamento» è stata da tutti indistintamente interpretata come un processo di maggiore omogeneizzazione del mondo, in cui l’armonia sarebbe risultata dall’eliminazione delle differenze reali. Naturalmente, abbiamo poi scoperto la dura realtà, cioè che lo sviluppo dell’economia-mondo capitalistica ha accresciuto in maniera significativa le disparità economiche e sociali e dunque la consapevolezza delle differenze. La realizzazione della fratellanza, o, per usare un termine diffuso dopo il ‘68, il sentirsi tutti compagni, presenta difficoltà enormi; e tuttavia questa fragile prospettiva è in realtà il fondamento della conquista simultanea di libertà ed eguaglianza.[2]

La realtà attuale è l’opposto della fratellanza, della libertà e dell’eguaglianza. Chi ha a cuore almeno uno di questi concetti, del resto tra di loro profondamente legati, non può tollerare oltre.




[1] G. Debord, La società dello spettacolo, Milano, Baldini Castoldi Dalai editore, 2008.

[2] I. Wallerstein, La scienza sociale: come sbarazzarsene, Il Saggiatore, Milano, 1995.

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Truman
2 anni fa

Intanto grazie per la citazione di Gramsci, non la ricordavo e mi dà molto da pensare. Molte volte ho visto dotte discussioni sulla parola crisi, sempre tese a spiegare l’etimologia dal greco antico, cioè “scelta”. Gramsci non ha bisogno di apparire erudito e descrive la situazione che di solito chiamiamo crisi. Ecco, dalla descrizione di Gramsci vedo che le scelte sono minime, eppure vanno trovate.

Mi sfugge forse qualcosa al punto 6, lì dove si dice “il socialismo […] ha alla base delle contaminazioni materialistiche che hanno determinato la sua progressiva distruzione da parte dei marxisti: il mito del progresso, la concezione ascendente della storia, il messianismo, il settarismo”. Ho il sospetto che al posto di “materialistiche” andrebbe “idealistiche”.

Truman
2 anni fa

Vorrei scendere in dettaglio e provare a decostruire il concetto di ideologia. Lasciando per ora da parte gli obiettivi dell’ideologia, da lungo tempo penso che un’ideologia sia strutturalmente composta da:
– miti fondativi
– miti propulsivi
– continuo lavorio della ragione per tenere in vita l’ideologia.

Andando proprio qui sopra al caso dell’ideologia socialista, come mito fondativo potrebbe andare la fratellanza tra tutti gli uomini, “il mito del progresso, la concezione ascendente della storia” (che poi è un unico mito) va bene come mito propulsivo, “il messianismo, il settarismo” potrebbero essere scelte tattiche (razionali).

Però quella che mi funziona meglio è la scienza, un’avventura umana di successo che ha alla sua base un mito fondativo, quello di Prometeo, colui che rubò il fuoco agli dei e si fece padrone del proprio futuro. Il mito propulsivo è ancora quello del progresso, l’idea che il futuro debba essere migliore del passato. 

Nella visione di oggi la scienza viene associata strettamente alla tecnologia, che tendenzialmente si basa sul mito del superuomo di Nietzsche: siamo abituati a pensare dalla pubblicità che la tecnica ci consenta azioni sovrumane, che con l’ultimo modello di automobile o telefonino possiamo fare cose precedentemente inaudite. 
La tecnologia ha aspetti comuni con la religione, essa riguarda rituali collettivi, essa sembra fornire certezze, nel momento in cui appare capace di modificare la realtà. Ma anche la religione medievale era capace di interpretare la realtà, era anzi l’unica realtà. 

In pratica, credo che bisognerebbe desacralizzare la scienza-tecnologia di oggi, decostruirle nei loro elementi mitici, ricostruire il loro percorso di avventure umane, discipline umane che nascono da bisogni umani in ambienti umani. La scienza come disciplina umana, sottoposta all’ecologia, sarebbe un interessante approccio. Ma forse è troppa carne al fuoco.

A. M.
A. M.
2 anni fa
Reply to  Truman

Carissimo,

grazie per la lettura e lo spunto critico. Sulla neutralità della tecnica e il ruolo politico della scienza, temi fondamentali al giorno d’oggi, Pier Paolo e Il Pedante hanno scritto pagine illuminanti.

Più modestamente, io credo con Marx che bisogni riportare l’uomo sulle proprie gambe, cioè rovesciare la società “al contrario” dominata dal capitale.

Se finalizzata al pieno sviluppo dell’uomo, e non del profitto, la tecnologia può fare grandi cose a patto che vi sia un controllo sociale della produzione e dello sviluppo tecnico.

lo
ciao
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