Il lavoro di domani, lo sfruttamento di ieri, la catastrofe odierna

In un articoletto del blog del Fondo Monetario Internazionale è apparsa il 7 gennaio 2021, a firma di Sadia Zahidi, una pregevole sintesi dei luoghi comuni relativi alle magnifiche sorti e progressive del lavoro e dei lavoratori sul pianeta.

(Finché l’Agenda va, lasciala andare …)

Si tratta di un brutale compendio del Future of Jobs Report 2020 del World Economic Forum uno dei tanti capitoli dell’Agenda che, come tutti sanno, ha lo status ontologico di quelli che Bertrand Russell chiamava “oggetti inesistenti”.

Nel breve compendio vengono introdotti alcuni dei più significativi luoghi comuni di stampo liberista sulle ineluttabili, si direbbe volute dalla natura, trasformazioni a cui i salariati andranno incontro, volenti o nolenti.

Ovviamente la natura talvolta benevola, più spesso matrigna, assume qui le sembianze feroci della cosiddetta pandemia da Covid. Più che altro la pandemia pare obbligare, secondo l’autore, i lavoratori ad accettare trasformazioni drastiche e ineliminabili del loro modo di vivere.

La natura è ovviamente, ca va sans dire, benevola con uno dei due attori sulla scena: il capitale. Per esso nulla viene detto, nulla viene suggerito o imposto dalla pandemia, tutto continua business as usual. Non parlate al conducente, si potrebbe dire.

Se invece appartenete alla schiera dei lavoratori, lasciate ogni speranza o voi che entrate …

“Some jobs will disappear and others will emerge as the world faces a dual disruption”, questa è la frase chiave, ovvero il mercato del lavoro non sarà più fortemente segmentato, in più ambiti, ma ne emergeranno solamente due: uno altamente qualificato ed uno non qualificato.

Ma seguiamo i punti dell’articoletto per capire in dettaglio cosa ci attende.

  1. Al primo punto abbiamo un grande classico che non invecchia mai, favorendo il salutare riemergere di tentazioni luddiste: vogliamo tanto bene ai lavoratori ma purtroppissimo la tecnologia farà sparire 85 milioni di posti di lavoro entro i prossimi cinque anni. “Five years from now employers will divide work between humans and machines roughly equally”. Il mondo di Terminator, il loro sogno bagnato.
  2. Ma non spaventiamoci. Arriva “la rivoluzione dei robot” che creerà 97 milioni di nuovi posti di lavoro, il saldo è positivo, possiamo festeggiare. La parte del leone la farà l’intelligenza artificiale (il cui status ontologico ricorda da vicino quello dell’Agenda). Ma non manca tutto il corredo delle nuove opportunità: l’occupazione sarà indirizzata verso l’economia green, l’analisi dei big data, il cloud computing. C’è però l’angolino dell’interazione umana (come sono buoni questi robot …) avremo sempre il marketing e, bontà loro, la care economy. Se avevamo bisogno di conferme relativamente all’impossibilità di una tecnica “neutrale” le abbiamo ricevuto per l’ennesima volta
  3. Cosa vogliono i padroni del vapore? Non più brutale forza-lavoro ma pensiero analitico, creatività e flessibilità (on connait la chanson). Molto apprezzato il problem solving, sembra di leggere i deliri psicopedagogici che hanno infestato la scuola italiana e non. Ma vuoi vedere che c’era una relazione tra la distruzione sistematica dell’impianto tradizionale della scuola e gli attuali bisogni dell’impresa capitalistica? Non vorrete dirci che c’era un piano, una strategia … un’Agenda, Dio non voglia? La lista delle supercazzole con cui vengono descritti i desiderata degli imprenditori è lunga e variegata ma i termini sono un po’ usurati: self-management, resilienza, tolleranza allo stress… benvenuto l’uso di “granularità” nel tracciamento dei lavoratori da assumere attraverso ben note piattaforme. Tradotto dalla neolingua in italiano si tratta dell’assenza di ogni contrattazione collettiva e quindi di ogni idea di autodifesa dei salariati.
  4. Quali saranno le aziende più competitive in questo mirabolante nuovo mondo? Neanche a dirlo quelle concentrate sul continuo miglioramento delle competenze del lavoratore. I salariati che non saranno brutalmente espulsi dal mondo del lavoro dovranno mettersi a studiare e reinventarsi, sempre dicendo grazie alla benevolenza dell’impresa. Però per formare elaborate competenze tecnico-lavorative ci vuole la grana così come per dare qualche garanzia ai licenziandi. E dove trovare la grana? Ci pensa il public sector! Privatizzare i profitti, socializzare le perdite…
  5. Dulcis in fundo il lavoro a distanza è qui per restare. Chi lo avrebbe mai detto! Si tratta della nuova normalità tanto agognata. Certo, sindacalizzare dei salariati casa per casa non sembra cosa agilissima. Pregevole la confessione finale dell’autore: molti imprenditori si aspettano ricadute negative sulla produttività. Ma vuoi mettere il dolce sapore del controllo totale sugli esseri umani al tuo servizio… come dicono a Napoli comanna’ è mejo e fotte e probabilmente anche meglio di una qualche frazione dei profitti.

In questa ultima osservazione possiamo vedere lo smascheramento finale delle trasformazioni a cui stiamo assistendo. In ballo non c’è semplicemente il denaro, l’appropriazione dei frutti del lavoro altrui ma molto di più. L’obiettivo finale è una società dove corpo e menti delle classi subalterne sono oggetto di dominio totale. Frantumata ogni idea di legame, di solidarietà di classe o semplicemente umana il singolo è solo di fronte a un apparato che non gli consente alcuna forma di resistenza.

La vecchia canzone dello sfruttamento accompagnata dalla presunta emergenza sanitaria acquista i contorni delle più buie distopie partorite dalla mente umana.

In ballo non ci sono più solo i nostri salari ma noi stessi.

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