È il periodo dell’anno in cui si fa ordine, si eliminano, definitivamente, la maggior parte degli ingombranti cascami della rifinitura e ci si rimbocca le maniche per proseguire il lavoro, è tempo di bilanci e prospettive, è il momento di bruciare, come nei grandi falò del solstizio invernale, tutto ciò che di inutile o sgradevole ci siamo trascinati dietro.
“Siamo alla fine della storia”, “non c’è alternativa”, “era sbagliato quanto accaduto negli anni ’60”, “era sbagliato quanto accaduto negli anni ’70”, “era sbagliato quanto accaduto negli anni ’80”, “era sbagliato quanto accaduto negli anni ’90”, “era sbagliato quanto accaduto a Genova nel 2001”, “era sbagliato quanto accaduto negli ultimi due anni”. “È sbagliato tutto quanto si cerchi di fare ora”, “sono sbagliati i modi”, “sono sbagliate le persone”. Queste affermazioni costituiscono la litania ripetuta non solo dai servi di regime, detrattori naturali di tutto ciò che si muove in contrasto, reale o presunto che sia, con il sistema, ma anche da coloro che si professano antisistemici, a meno che, ben inteso, questi ultimi non siano stati loro stessi al centro della scena e, magari, anche sotto la lucina dei riflettori totalitari di questa dittatura nichilista. In questo caso, ci si tura il naso e tutto è giustificato e perdonato, compresa la vanità solipsistica del nulla elevato a “pensiero”.
A ben vedere, quello che accomuna gli uni e gli altri è il voler apparire, mentre ciò che li differenzia da chi è, al contrario, in grado di proporre reali analisi, è nell’essere. Definirsi antisistema non basta, occorre essere fortemente connessi ad una precisa Weltanschauung.
Chi vuole apparire gioca soltanto ad esporsi, rendersi visibile, non dice nulla di rilevante, non produce niente, si limita, banalmente, a ripetere formule scadute e a darle in pasto ad indistinti destinatari, dai mezzi di comunicazione o, poiché sic transeat gloria mundi, in mancanza di altro, attraverso i sociali. Da lì, il livore esplode grottesco, senza analisi, senza costrutto ed informe; la collera, di questi ballerini di terza fila, si abbatte su tutti e tutti colpisce, in un vomitare scomposto e ripetitivo di attacchi duro-puristi.
Che pargoleggino pure, perché no? c’è bisogno anche di fenomeni da baraccone in questi tempi strampalati e del resto certe povere menti non saranno mai in grado di costruire nulla, esistenze a scartamento ridotto che poca strada hanno percorso e difficilmente raggiungeranno qualcosa, neppure capaci di costruire un qualsivoglia legame, saranno invece bravissimi a distruggere tutto quello con cui entrano in contatto, lasciando solo macerie, esattamente al pari del sistema che, secondo le loro frastornate intenzioni, vorrebbero contrastare,. Sono una sorta di copia mal riuscita dei classici gatekeeper, con il loro pavido animo da imbonitori da fiera e la loro complessità di pensiero da barboncini ben ammaestrati. Utili? Sì, ma solo al regime che vorrebbero combattere, sempre restando nell’ambito linguistico di un ben educato “politicamente corretto” del tipo: “gliele ho cantate, signora mia!”.
Malgrado la natura di ignavi, lasciano fama di loro ed è bene ragionarne su, fosse solo per misurarne la reale consistenza e prendere atto, oltre il vaniloquio, della loro reale natura: non sempre è possibile, semplicemente, limitarsi a guardare e passare oltre.
Chi privilegia l’essere all’apparire, al contrario, sa di assumersi dei rischi, prende posizioni, magari scomode, non si accontenta di ripetere litanie ma costruisce paradigmi analitici precisi, non insegue solo consensi immediati e pavloviani ma, al contrario, è ben cosciente che, così facendo, potrebbe suscitare polemiche. Ma, non è questo il compito principale di chi esplora ed elabora teorie alternative? Rischiare di non essere popolare, operare scelte e rendere comunque noto il proprio pensiero, anche quando destabilizza l’approvazione generale? Ma, soprattutto, chi pensa autonomamente, e si espone, essendo per ciò stesso degno di stima, è in grado di creare legami costruttivi, può incorrere in incontri proficui che si intrecciano dando vita o potenziando feconde interazioni.
Ciò doverosamente premesso, è saggio andare oltre e tornare alla presunta inutilità del manifestare il rifiuto del sistema vigente: a quanti la pensino così, è bene ricordare che qualsiasi atto politico è utile, fosse solo per una sola e semplice ragione che è la possibilità di originare vincoli interni da opporsi ai mille vincoli esterni messi in atto dal sistema. Questo deve essere l’imperativo categorico nel momento storico che stiamo vivendo: creare legami con chiunque sia in grado di avere non solo una visione del mondo condivisa, ma, soprattutto, con chi sia in grado di produrre analisi che, prendendo le mosse da una tale visione, rendano intellegibili, e contrastino, tutte le diverse, e spesso surreali, realtà fantasmatiche che, infaticabilmente, il sistema, inesorabile, ci fa scorrere davanti, che siano sotto forma di false emergenze o di ingenue notiziole. Solo questo conta e solo questo rappresenta il passo fondamentale da compiere.
Gli eventi di questi ultimi anni, ci hanno fornito strumenti sufficientemente adeguati a distinguere tra ciarlatani, improvvisati “pensatori”, imbonitori e persone realmente in grado di intuire o creare paradigmi interpretativi.
Non sono interessanti gli eventuali limiti o i possibili errori di percorso, anche perché chi non ha mai fatto nulla, limitandosi a seguire la corrente, difficilmente ha potuto commettere errori, è interessante la costruzione di una prospettiva futura: il fare deve coincidere, non necessariamente con un atto, ma con una progettualità che rafforzi i legami tra coloro che condividono un’analisi.
Il punto centrale consiste proprio nella capacità di costruire comunità di condivisione, scambio, discussione e interazione continua, dando, cosa fondamentale nell’attuale fase storica, importanza non tanto al contenitore, che passa così in secondo piano, ma ai contenuti: non più un infondato “seguiteci per altre ricette” ma un unirsi per elaborare. Questo rappresenta la vera sfida a cui saremo chiamati a rispondere ed occorrerà tutta la nostra capacità di elaborazione; l’azione, la prassi deve sempre scontrarsi con la realtà e può uscirne indebolita o sconfitta, la teoria, al contrario, può e deve essere quella spinta propulsiva che permette di trasformare la percezione della realtà stessa ed è, perciò, fondamentale.
Il settarismo è la malattia che colpisce chiunque sia, de facto, incapace di lavorare con altri, adducendo i più fantasiosi motivi, ed è non a caso una delle caratteristiche tipiche del disturbo narcisista-patologico della personalità: isolare e creare una fantomatica isola protetta da condividere con coloro che, vittime inconsapevoli, cadono nella trappola di lusinghe buoniste ed attacchi livorosi verso chi sta fuori dal cerchio magico.
Lasciamo volentieri tutto questo a chi, malato di egocentrismo, ne ha bisogno per sopravvivere, gli esempi non mancano.
Le persone si ritrovano naturalmente sulla stessa strada e dalla stessa parte semplicemente confrontandosi senza nostalgia o infantili pregiudizi ma con la consapevolezza e la certezza che ne vale la pena. Molti, alla fine di questi due anni, si sono allontanati per seguire altre strade, non se ne sentirà la nostalgia: ora è il momento di tutti coloro che, nonostante difficoltà che sembravano insormontabili, hanno avuto la forza ed il coraggio di continuare a credere nelle proprie convinzioni e ad esprimerle.
I vincoli interni saranno il vero punto di forza da cui partire.
Tutto giusto, o almeno è (più o meno) ciò che possiamo fare adesso.
Una minuzia: “sic transeat gloria mundi” è di solito citato come “sic transit gloria mundi”, con l’indicativo invece dell’imperativo. “transeat” è usato in modo isolato per intendere “lasciamo correre”.
Più interessante “Chi privilegia l’essere all’apparire”, che mi fa tornare in mente il noto saggio di Fromm (“Avere o essere”). Ecco, con un po’ di fatica mi sono convinto che l’alternativa non è tra avere o essere, ma tra avere e dare. Fa parte di un pensiero mercantile, che in vario modo abbiamo assimilato, l’idea che per dare bisogni avere. Eppure la madre dà amore al figlio senza bisogno di essere pagata. L’amicizia si dà senza bisogno di denaro. Ma soprattutto l’attenzione all’altro è qualcosa che si dà. E anche l’esempio di vita si dà. La sapienza può essere data agli altri senza perdere niente (anzi in pratica chi fornisce sapienza ne acquisisce anche). Ecco per me l’alternativa è tra avere e dare, o tra avere e condividere, il che non è sostanzialmente diverso da ciò che scrivi.