HIC SUNT MURES

La sinistra, per comodità parlo di quella italiana, è un soggetto politico nato morto. Mossa da invidia, astio ed assurdi personalismi non è mai stata in grado, a partire da quel parto cesareo che fu la nascita del PCI nel 1921, di far crescere un soggetto politico che fosse sano, o per lo meno, vivo.

Bordiga e Gramsci avevano tare profonde che li accumunavano: un reale disprezzo verso l’azione, che entrambi hanno sempre rifuggito, una sorta di odio verso il genere umano la cui genesi è da rintracciare, da un lato, in un egocentrismo ai limiti del narcisismo patologico e dall’altro in evidenti fragilità fisiche nonché psicologiche. Entrambi tanto ignoranti politicamente da non riuscire assolutamente a capire ed analizzare non solo i tempi che stavano vivendo e gli eventi del recente passato ma, addirittura, e questo è ancora più grave, quegli accadimenti che avrebbero segnato il futuro imminente. A dimostrazione di quanto affermiamo, basti pensare che, con un tempismo perfetto scelsero di scindere dal PSI all’indomani di uno dei momenti più decisivi della storia europea e poco prima di uno degli eventi fondanti della storia italiana.

Le scissioni partitiche sono sempre l’epifenomeno dell’incapacità di lottare, mediare e condividere, ma sono sempre state, altresì, il tratto caratterizzante di ogni struttura partitica o organizzativa di sinistra; chiunque vi abbia militato conosce bene il problema.

Come si manifesta l’incapacità politica? Come si evince l’assenza di visione del mondo? Così, con un atto di pancia, che è mosso solo da becero interesse personale e che manca totalmente di analisi politica, un atto di odio ed astio verso il mondo che ha la pretesa di diventare atto politico.

Analizziamo questa evidente parabola discendente alla luce della storia.

La Prima guerra mondiale si concluse nel 1918, tornarono in Italia uno stuolo di ragazzi ed uomini che avevano vissuto le peggiori atrocità, che avevano guardato in faccia la morte e che avevano visto spegnersi 650,000 compagni d’arme; più di 900,000 tornarono invalidi o mutilati, oltre 600,000 furono dispersi o imprigionati. Questi i freddi numeri.

Che cosa successe a chi era tornato morto dentro ma con la convinzione di aver fatto il proprio dovere? Vennero abbandonati a se stessi. Lasciati totalmente soli nel loro inferno. Per i signori di sinistra quella guerra era borghese e quei proletari erano dunque colpevoli di aver combattuto contro gli interessi del “proletariato”!

Il seme della Volontà d’impotenza è già tutto qui…

Le vicende di questa massa di reduci si fondono e si intrecciano, come nell’esperienza degli Arditi sfociata nei Fasci di Combattimento o negli Arditi del popolo. Quest’ultima fu la sola occasione che la sinistra seppe dare a quegli uomini…mancava però l’ideologia, una mistica profonda che potesse davvero permettere di infondere uno spirito che andasse oltre il prosaico, scalfendo la retorica di superficie per penetrare all’interno delle sopite coscienze e scuoterle dandogli nuova linfa vitale. Allora come oggi c’erano macerie, anche umane, su cui e da cui ricostruire ma, per farlo, sarebbe stato necessario spingere al massimo la volontà di rovesciare e sconquassare, l’intero impianto esistente, dalle fondamenta. Fare da stampella, in più di una occasione, all’esercito Regio non fu certo una mossa rivoluzionaria… ma è un atteggiamento che ben conosciamo e che, guarda caso, si ripeterà sempre. La sinistra ha mantenuto un record imbattuto: essere sempre stata dalla parte sbagliata della storia!

Forse i Fasci di Combattimento furono maggiormente capaci nel costruire la mistica di cui sopra: la presenza carismatica di un D’Annunzio, il capo dell’impresa fiumana, il Programma di San Sepolcro, la simbologia e le indubbie capacità politico-retoriche dello stesso Mussolini ne facevano sicuramente un polo di attrazione forte. C’era una volontà di potenza che si contrapponeva al proliferare, nella società, di un enorme senso di impotenza, di sconfitta, di perdita, di resa, che per altro da quel momento storico in avanti avrebbe condizionato sempre la sinistra italiana.

Quello che non ci interessa ora è uno studio su cosa accadde oltre quel periodo o fare considerazioni sul Fascismo: in un’epoca di decadente distruzione, come quella che stiamo vivendo, la storia è usata per pulirsi le terga e quei fatti meritano un rigore narrativo che non si addice a questo scritto, la lettura di Breve storia del Fascismo o di un’altra opera qualsiasi di R. De Felice potrà colmare questa lacuna eventuale.

Ci interessa invece notare quale importanza ebbe il concetto di arditismo specie tra i giovani di quel periodo, quanto fosse importante il richiamo a certi ideali che affondavano le loro radici nel passato di una civiltà la cui gloria veniva magnificata per ergerla a simbolo, una civiltà ed un passato di cui andare fieri.

La potenza diventava fondamentale, l’arditismo diventava valore.

Dall’altra parte si filosofeggiava su «pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà», il pessimismo dell’intelligenza c’era, senza ombra di dubbio, ed era fortissimo, negli anni lo abbiamo visto sempre più chiaramente, quel che mancava totalmente, e mancherà sempre, era, ed è, l’ottimismo della volontà. Quest’ultimo a sinistra, di fatto, non c’è mai stato.

Un lento fiume grigio ha caratterizzato lo scorrere del suo tempo, i sussulti sessantottini e quelli torbidi più tardivi sono stati rigurgiti di triste nichilismo che, pian piano, avrebbero portato al totale adeguamento odierno al pensiero dominante.

Acque torbide in cui la retorica la fa da padrone, in cui allo studio diretto si è sostituita la superficiale raccolta di parziali e disorganizzate informazioni/nozioni del sentito dire, del racconto indiretto, della trasmissione orale. A questa forma di non conoscenza si uniscono una sorta di revanchismo ed una nostalgia per qualcosa che sempre avrebbe potuto essere e mai è stato. Se mai è stato, questo “non so cosa” resta aleatorio, indefinito e, per ciò stesso, sempre desiderabile. Un po’ come il regno del prete Gianni, l’isola non trovata o il paese di Bengodi…qualcosa che è quasi, sempre un più in là, più distante, irraggiungibile…quel quasi è il problema fondamentale, quel quasi ha sempre intossicato tutta la sinistra, quel quasi l’ha sempre impantanata. Un muro invisibile che ha sempre impedito di guardare la realtà, capirla fino in fondo, analizzarla e sovvertirla.

Ma questa è solo una parte della storia, il resto viene dalla fede cieca nel positivismo e, di conseguenza, per quanto viene considerato “scientifico”, senza la minima ombra di dubbio, e nel progresso.

 I sinistri amano il progressismo e la scienza. Non si pongono domande, hanno solo certezze. Il loro nichilismo distruttivo ed ignorante li spinge a guardare con un certo sospetto e molto disprezzo tutto ciò che a questa retorica del nulla si oppone. Questo spiega l’utilizzo improprio del termine “fascista”, usato come epiteto, che colpisce chiunque non si pieghi alla loro, e del pensiero dominante, volontà di impotenza[1].

Chi reagisce, chi vuole agire, chi non accetta, ma anche chi si muove in senso opposto al gregge, chi rifiuta di partecipare alla spettacolarizzazione del dissenso messa in scena dal sistema, chi rifiuta di fare da cavia o da fenomeno da baraccone nei loro squallidi programmi per mandrie, viene immediatamente stigmatizzato come “fascista”.

Questa epoca perversa ha bisogno di piccoli eroi da avanspettacolo, starlette, meteore che lascino misere scie luminose di pochi secondi, subito rimpiazzate da altri bagliori di riserva da esibire sulla pubblica piazza. La politica non c’entra nulla, questo attiene più ai fuochi di Fuorigrotta, senza offesa per quest’ultimi.

Buon senso prescriverebbe di non partecipare a ciò che si critica ma in quest’epoca malata di egocentrismo chiunque è pronto a mettersi in mostra, fosse anche per una lotta nel letame. Quel che importa è apparire. Il fondo del barile del panem et circenses.

La sinistra impotente non è solo quella istituzionale, riconosciuta, è anche e soprattutto quella che sfoggia il proprio senso di superiorità, quella che pensa di sapere solo perché ha interiorizzato qualche concetto sentito da altri e continua a rivenderlo perché non sa produrre nulla di originale. E questa è la più pericolosa perché si riempie la bocca di parole non sue, che però sa di dover dire per essere considerata. Pensiamo a quanti parlano di superamento della dicotomia destra/sinistra ma, di fatto, non riuscirebbero mai a lavorare con chi non soddisfa i loro ristretti parametri ideologici. Anche costoro sono destinati alla pattumiera della storia, all’insignificanza politica perché nulla hanno a che fare con questa. E, men che meno hanno a che fare con una visione partitica, perché la loro impotenza, travestita da assemblearismo, li spinge, da un lato, verso il movimentismo, dall’altro a voler primeggiare ma come re dei topi.

Franco Battiato in una intervista dichiarò «Vedi, a me non interessa sentirmi intelligente ascoltando dei cretini che parlano. Preferisco sentirmi cretino ascoltando una persona eccelsa che parla…». bene al sinistrato non dichiarato interessa esattamente il contrario: essere primus inter mediocres, avere una aurea mediocritas da cui non possono distaccarsi perché sarebbe controrivoluzionario.

Distruggere tutto ciò che non riescono a capire e controllare, perché non ne hanno i mezzi, è la loro sola attività, per questa ragione devono essere tenuti distanti da qualsiasi progetto: la loro volontà di impotenza non vede di buon occhio l’Arditismo che, specie in questa temperie di miserevole etica, rappresenta forse la sola via d’uscita, e di ricostruzione, da un mondo “intrepido” fatto di macerie.


[1] Il termine è preso da un libro di R. Pecchioli, La volontà d’impotenza. La cancellazione della civiltà europea, Passaggio al bosco, 2021

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