Accade in Italia: l’alba dello smart virus

Pensiamo alla vita prima di Febbraio: sono passati solo pochi mesi ma per tutto ciò che abbiamo vissuto e stiamo vivendo sembra passato un secolo.
Non ricordiamo un altro cambiamento così rapido e così assoluto dell’esperienza umana.

Nel 1986 ci fu il disastro di Chernobyl.
Ricordiamo il panico iniziale, le notizie allarmanti, i divieti e le raccomandazioni.

“Non bere il latte. Attenzione alla verdura. Possiamo uscire liberamente da casa? Sarà sicuro?”

Domande cui ciascuno fu allora sostanzialmente libero di rispondere da par suo, come detto con indicazioni e raccomandazioni, ma senza obblighi, controlli e vincoli provenienti dalle istituzioni pubbliche, e dopo poco tempo il corso della vita riprese più o meno uguale a prima.

Socialmente ci dimenticammo del disastro e delle sue conseguenze a lungo termine.

I medici potrebbero parlarci ad esempio dell’aumento delle disfunzioni o delle patologie tumorali registrate negli anni successivi, ma ci interessa portare alla luce una consapevolezza nascosta dentro noi tutti: a quel disastro, classificato come catastrofico al livello 7 (il livello massimo), tacitamente seguì un processo di rimozione collettiva del pericolo corso.

L’incidente di Chernobyl è quindi un esempio ‘positivo’ di paura globale passata senza lasciare traumi psicologici di massa, l’unica traccia rimasta nel nostro paese fu la forte polarizzazione nel dibattito politico sul pericolo nucleare che si concretizzò con il referendum per l’abolizione delle centrali nucleari.

Forse quel referendum ci liberò dalle ansie e dalle preoccupazioni, quasi come fosse un momento catartico.

Forse il pericolo era minore di quello che stiamo correndo oggi o, forse, la società dell’epoca aveva gli anticorpi contro la paura, anticorpi soprattutto sociali non avendo allora ancora catturato e polverizzato i corpi intermedi.

Torniamo al presente

All’improvviso arriva un nuovo nemico, dapprima sottovalutato che presto però, diamo per buona la versione ufficiale, inizia a mostrare tutto il suo potenziale destabilizzante anche a causa della scelta comunicativa adottata aprendo crepe profonde, generando ansie e paure collettive e nella psiche di ogni individuo.

“La sanità entra nel caos”, assistiamo ad un vero e proprio genocidio della popolazione anziana, il governo risponde con misure eccezionali: al fine dichiarato di tutelare la salute collettiva vengono fortemente limitate le libertà personali.

Lo stato può guidare l’individuo nelle sue libertà tramite due modelli

Secondo il primo punto di vista, che potremmo definire Paternalismo Forte, è irrilevante il modo in cui l’individuo giunge alle sue scelte. L’idea di base è che esistano scelte giuste e scelte sbagliate. Gli individui devono tenere determinati comportamenti perché sono quelli corretti, quelli utili alla causa. L’individuo è ‘libero’ di scegliere: seguire le imposizioni con le buone o con le cattive.

Nel modello alternativo invece, detto Paternalismo Debole, le persone sono incoraggiate ad effettuare determinate scelte e devono essere disincentivate a mettere in atto comportamenti ritenuti scorretti o pericolosi. Questo approccio tiene conto del modo in cui le persone arrivano a farsi le proprie convinzioni.

Come abbiamo già avuto modo di scrivere:

Nelle istituzioni del primo tipo si punta sulla coercizione, in quelle del secondo tipo sulla persuasione. Il confine tra persuasione, manipolazione e coercizione è sempre molto labile.

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Sono due impostazioni nettamente differenti, ma da Chernobyl ad oggi siamo passati dalla prima alla seconda senza quasi rendercene conto: per descrivere questi mesi non si può tralasciare come la relazione stato cittadino sia stata basata principalmente su instabilità e terrore diffusi a piene mani dal coro mediatico, di fatto instaurando un rapporto tra stato e cittadinanza diverso da quello legittimo costituzionale.

Mentre qualcuno dà per inevitabile una dittatura in autunno.

Situazione più volte sperimentata dal genere umano, ma la novità di quest’epoca è una capacità alienante dei mezzi tecnologici mai vista prima nonché la loro diffusione capillare per cui non esistono luoghi estranei a tali pressioni – pensiamo alla quarantena – ma, nella migliore delle ipotesi, solo luoghi in cui il controllo è più lasco o quasi assente.

La narrazione del virus ci è sembrata un continuo gioco del “poliziotto buono e poliziotto cattivo”.

Sempre più complesso è capire chi giochi nella squadra dei buoni e chi nella squadra dei cattivi.

Giorni fa, parlando con uno psichiatra delle immagini di Bergamo sparate da tutti i tg, la sfilata delle camionette dell’esercito per il trasporto delle salme, ci chiedevamo: qual è il senso di tale oscenità?

Quelle immagini sono il punto più basso del racconto corale del virus, umanamente.

Mostrare quelle immagini significa non avere alcun rispetto dell’umano.

Sono immagini più atroci delle foto diffuse dagli infermieri nelle Terapie Intensive – che potevano essere il frutto della disperazione personale – i video di quei carri sono qualcosa che ricorda molto i messaggi veicolati in altri tempi dall’Istituto Luce.

Mostrare tali immagini era necessario per impaurire le persone e far tenere loro comportamenti appropriati.

È stato un gesto manipolatorio.

Lo scopo era colpire l’opinione pubblica e lasciarvi una traccia profonda, anche a costo di calpestare qualsiasi principio etico e morale.

Nelle prime settimane le tv sono entrare nelle nostre case per terrorizzarci. Stavamo assistendo alla fine del mondo direttamente dalla poltrone di casa nostra. Rinchiusi tra quattro mura mentre ci stavamo estinguendo come i dinosauri.

Poi la narrazione è cambiata

La narrazione ci ha mostrato lo stato fare il possibile per salvarci: ci ha messo ai domiciliari, o meglio, ha arbitrariamente (ad esempio si tennero aperte le officine e carrozzerie ma non altre attività ad esse necessarie) diviso la forza lavoro in tre gruppi, chi non poteva uscire di casa ma doveva continuare a lavorare (‘smart working’), gli altri che non potendo uscire non potevano nemmeno lavorare (dunque privati dei mezzi di sostentamento) e infine i lavoratori essenziali obbligati a superare la cortina di terrore per causa di forza maggiore.

Lo Stato ci ha messo ai domiciliari

Ciascuno è stato sottoposto a uno stress intenso impedendo il lavoro di alcuni, sovraccaricando quello degli altri con ritmi e ansie considerevolmente maggiori in un brevissimo arco di tempo.

Senza alcun dibattito, senza passaggi parlamentari – creando un precedente inquietante – si è originato un effetto valanga: costringere milioni di lavoratori a casa ha desertificato l’indotto distruggendo i lavori collaterali (mense, bar, ristoranti, luoghi di socializzazione) generando nuovo impoverimento tra i nuovi cassintegrati e disoccupati, che si aggiungono agli altri.

Si prospetta ora una crisi senza precedenti, con il ‘solito’ vincolo esterno economico agisce in una sorta di combinato disposto con il ‘nuovo’ vincolo esterno sanitario, verso la distruzione delle fondamenta sociali del nostro Paese.

Piano piano, prima per i soli ‘lavoratori essenziali’, poi per tutti gli altri, con le prime riaperture tornava il diritto di libera circolazione. Il pericolo c’era ancora, c’erano ancora le comunicazioni e i grafici terroristici, ma ora dipendeva da noi, dai nostri comportamenti.

Sembravano dire: “adesso se vi ammalate è colpa vostra. Siete voi che non mettete la mascherina, siete voi che non mantenete la distanza dalla vostra compagna, dai vostri parenti e amici, siete voi che non vi lavate le mani…

Se ti ammali sei colpevole, se ti ammali sei un pericolo per la società, se ti ammali devi essere isolato.”

Non vuoi correre questo rischio?

Le autorità ti offrono la soluzione: ísolati prima di essere isolato.

Ora il messaggio è che dobbiamo diventare come gli stati del sud-est asiatico, nuova variante del ‘facciamocome’ che si aggiunge alla precedente, perché dobbiamo essere contemporaneamente anche L€uropei.

Vincoli esterni da ogni dove che ci vogliono schiavi.

Insistere sostenendo obbligatorietà delle mascherine, ad esempio, non è per una misura di prevenzione sanitaria, ha soprattutto un impatto sociale ben determinato: esprime al mondo l’ubbidienza del singolo a quelle prescrizioni autoritarie e insensate – se non fossero insensate non sarebbe necessario imporle per ottenerne l’esecuzione! – diventa uno status symbol, ma lo status che simboleggia è quello dello schiavo.

Tutti tranne qualcuno, ça va sans dire, esonerati dall’uso di certi dispositivi, almeno per partecipare a vernissage, a gite in yacht o anche solo al compleanno del nonno.

Il cosiddetto Smart Working (che contestammo in tempi non sospetti, quando tutti erano contenti di poter lavorare in piscina) altro non è che un modo per isolare il lavoratore, mescola e unisce in modo inedito casa e luogo di lavoro: non v’è via di scampo dallo sfruttamento, non c’è privacy, né rifugio per il riposo o lo svago.

Ma insistono che lavorare da casa evita gli assembramenti, è dunque componente necessaria alla narrazione.

Evita anche le discussioni ed evita possibili rivendicazioni collettive, avendone cancellato e negato il luogo fisico.

Per la prima volta nella storia umana la maggior parte della popolazione è stata obbligata a chiudersi in casa. In occasione dei cambiamenti epocali nelle condizioni di lavoro, il capitale ha imposto ritmi e modi di lavorazione alienanti, ma lo smart working rompe l’ultima e più intima diga a difesa del lavoratore, dell’essere umano: la distinzione tra tempo di lavoro e il resto.

Quest’intrusione, che calpesta la privacy di ciascuno, non sarebbe stata possibile senza gli strumenti digitali – invasivi per definizione, fin dal loro primo nome: palmari – veri e propri arieti per penetrare il nostro immaginario: inebriati del medium digitale e assillati dal tempo reale non siamo in grado di valutare le conseguenze del loro abuso. Intanto si affiancano e hanno la pretesa di sostituire – migliorandole – parti e funzioni dell’essere umano.

Lo smartphone, che promette libertà ma porta a comunicare in modo compulsivo, ha generato alienazione ‘portatile’ e personalizzata prima impensabile, finora principalmente a scopo di (finta) evasione, almeno dichiaratamente e come servizio venduto, mentre incidentalmente sterilizza, accantona l’intensità dalle relazioni umane e inaugura invece un regime di ‘contabilità’ – la quantità di messaggi, like, condivisioni – per sentimenti, emozioni, opinioni, il tutto ovviamente in uno spazio privato e proprietario, oltre che virtuale.

La più profonda e nascosta crisi di questo tempo.

Questa illusione e i suoi corollari sono ovviamente molto utili anche come strumento di controllo globale: con lo smart working basterà un click per adottare strumenti di contenzione, costrizione, sorveglianza sul ‘lavoro’ – ma si dovrà cambiargli nome, non sarà più la relazione su cui si fondano Costituzione e Repubblica Italiana – e verifica dei ‘risultati’.

Rimarrà solo alienazione

D’altra parte abbiamo accettato la presenza di telecamere in ogni dove. In ogni strada, all’interno di ogni luogo.

Mancano nei bagni, una sorta di perversione collettiva, e nelle aule scolastiche; ma le stanno installando nelle aule universitarie.

Chi oggi lavora da casa dovrebbe essere consapevole che da subito costituirà l’esercito industriale di riserva, utile per disciplinare o direttamente sostituire i lavoratori che continuano a recarsi sul posto di lavoro e che dovranno accettare condizioni di lavoro al di sotto di qualsiasi minima soglia di sicurezza.

Amici che lavorate da casa, tra un paio di mesi il vostro problema non saranno più i buoni pasto che non vi vengono erogati…

La distanza che prima si misurava in centimetri o in ore oggi si misura in giga.

In pochi anni siamo passati dall’Open Space allo Smart Working, slogan opposti raccontati dagli stessi narratori.

I futuri lavoratori dobbiamo però prepararli, ecco quindi la scuola dei banchi singoli, che da luogo di formazione di primaria importanza, viene completamente snaturata e trasformata in un’agenzia a metà tra un supermercato e un autoscontro.

L’allievo, finalmente isolato neutralizzando ogni possibile contatto sociale, sarà ora pronto a recepire le informazioni trasmesse da un docente a cui è stata tolta anche la cattedra, chissà un docente smaterializzato, che parla da uno schermo, perché no?

“È il progresso!”

L’istituzione scolastica da scuola di democrazia diventerà un incubatore di idiocrazia.

Dopo aver ucciso la figura del genitore hanno ammazzato anche quella del docente. L’unica autorità deve essere quella imposta dal potere centralizzato, assoluto. Che decida anche dove tu puoi indirizzare lo sguardo o no.

Solo all’interno del recinto di una idiocrazia si può pensare che ragazzi e ragazze possano stare divisi senza sperimentare la naturale attrazione tipica dell’età.

A cosa servono i banchi singoli se poi i ragazzi stanno insieme nei momenti precedenti e successivi alle lezioni?

Il tentativo, pur implicito, di spegnere e negare le normali relazioni sociali, che gli esseri umani di ogni età sono naturalmente portati a sviluppare, è espressione di un autoritarismo – finora immaginato solo nei romanzi distopici – che progetta oggi le generazioni obbedienti di domani.

Una visione dei bambini come ‘prelavoratori’ da irreggimentare.

Chiunque abbia in mente il fenomeno degli Hikikomori può capire quale sia il reale scopo dei banchi singoli. Gli stolti invece guarderanno al dito della sicurezza dei ragazzi e dei docenti, mentre la luna è l’uso della scuola come un lago per la pesca sportiva popolato da trote tutte uguali che si credono libere ma lo stagno è chiuso e la loro crescita preordinata, diretta verso un fine stabilito.

Il risultato sarà di far crescere una generazione di sociopatici a cui dovremo affidare la gestione della cosa pubblica e le nostre vite quando diventeremo anziani.

Ci attende una lenta eutanasia sociale e una rapida eutanasia personale.

L’idiocrazia realizzerà i piani di chi vuole trasformare la società in un ammasso di monadi non più definibili come esseri umani.

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