Quale azione per quale scopo

Questa è stata la linea guida dell’incontro di Frontiere che si è svolto sabato 22 febbraio: abbiamo individuato delle istanze, delle tematiche sulle quali iniziare a riflettere per arrivare ad una elaborazione teorica generale che permetta di sviluppare un pensiero critico, partendo da nuovi parametri, anche terminologici, che rendano possibile il superamento della stagnazione intellettuale che blocca qualsiasi entità politica, impantanandola in vecchi schemi argomentativi.

 Per farlo sono necessarie alcune pre-condizioni essenziali: la prima è il superamento dell’illusoria demarcazione destra/sinistra che non è una rinuncia od una cancellazione dell’ideologia, bensì la sua riaffermazione contro la sub-cultura della mondializzazione. Una sub-cultura che impone il trionfo e la diffusione di un pensiero non pensante, che sostituisce l’informazione allo studio, che restringe gli spazi comunicativi e dibattuali chiudendoli in una bolla virtuale le cui regole, dettate dal pensiero dominante, sono state ideate appositamente per allontanarci dalla realtà, dalla possibilità di creare effettivi legami e dalla necessità, insita nell’essere umano, di formare comunità non virtuali ma reali, concrete. La seconda precondizione risiede nella necessità di liberarci dal forzoso ritorno a vecchi schemi di pensiero, adottati per comodità e pigrizia intellettuale, che vorrebbero cancellare ogni passo per paralizzarci in un assurdo non tempo e non luogo, prigionieri, da una parte dell’antiumano progressismo rilanciato dal clero regolare e dai suoi servi sciocchi e, dall’altro, di una pericolosa trappola epistemica fondata sul concetto verdiano secondo cui ‘tornare all’antico, sarà un progresso’. Due facce della stessa medaglia che ci condannano all’immobilismo. Fermarsi a riflettere è necessario, prima che utile ma restare fermi non è la soluzione.

Frontiere nasce da una esigenza precisa, liberare l’elaborazione teorica dalla condizione di immobilità a cui sembra essere condannata, farla uscire dalla minuscola bolla virtuale, con la presunzione di voler essere un laboratorio di idee, un generatore di nuovi parametri interpretativi; abbiamo individuato, a tale scopo, alcune prime tematiche di riflessione, da cui iniziare, che ci sembrano essere fondamentali: la cultura, intesa anche come percorso formativo dell’essere sociale che non si esaurisce nell’ambito scolastico ma che è studio ed elaborazione teorica; la salute, non soltanto nelle diverse accezioni di sanità, ma da intendersi come diritto inalienabile e non contrattabile; la comunicazione come diritto alla libertà di espressione, di parola e di opinione; l’immigrazione come fenomeno sociale e culturale che non può essere lasciato alle opposte banalizzazioni all’interno delle dinamiche neoliberali. Queste tematiche sono legate tra di loro da un filo a sua volta composto da diverse fibre interconnesse: la globalizzazione, il vincolo esterno, il controllo e la repressione, il politicamente corretto e l’alienazione. Per trattarle è necessaria una premessa teorica che sgombri il campo da ogni possibile fraintendimento. Un postulato, una sorta di verità apodittica.

Uomo e capitale sono due entità che non possono convivere se non in modo conflittuale, anche in questo caso i paradigmi, dal 1848, sono cambiati: il concetto di capitalismo, così come descritto da Marx, è profondamente mutato, come mutato è il ciclo di accumulazione,; se vogliamo leggere la realtà abbiamo bisogno di riferirci ad un capitalismo finanziario mondializzato, che, travalicando le frontiere, ha bisogno di abbatterle affermando la mondializzazione di uomini-merce.

Una delle conseguenze più evidenti di questa metamorfosi del capitalismo, è la trasformazione della lotta di classe, marxianamente intesa, in una serie di conflitti sezionali che però devono essere, necessariamente, affrontatiti e studiati riportandoli alla matrice unica del pensiero neoliberale. Solo se si capiscono questi passaggi è possibile costruire una teoria che, partendo dal problema, arrivi all’individuazione di azioni, appunto, che permettano di raggiungere lo scopo. Qui è l’essenza dell’esigenza di un nuovo Che Fare?

Da questa complessa e coerente visione, da questo progetto di scopo, è nata, per esempio, l’idea “Scientocrazia”, proprio come mezzo per divulgare alcune di queste tematiche e ricondurle, attraverso una quanto più esaustiva trattazione, ad una visione politica generale che ne permetta la comprensione all’interno delle diverse dinamiche interpretative. Seguiranno altre iniziative dello stesso tenore che ci permettano di iniziare a diffondere un pensiero altro, che esuli dai due campi in cui vogliono rinchiuderlo.

Mancano qui alcune riflessioni pure fondamentali, per esempio quella sull’Unione Europea e quella, che ritengo altrettanto sostanziale, sul ruolo della donna che, per troppo tempo, è stato lasciato a totale appannaggio del femminismo post sessantottino o del suo omologo borghese, ora, per altro, anche formalmente, coincidenti nel neoliberalismo, e che non può essere, chiaramente, né confuso con le teorie arcobaleno né con l’etica religiosa di nessun tipo, perché una riflessione generale deve esulare, necessariamente, da ogni particolarismo, che, per altro, ha in sé, naturalmente, i propri parametri. Nella complessiva intenzione neoliberale si è scissa la figura, ed il ruolo della donna, creando una rappresentazione fuorviante ed alienante, totalmente legata, come quella dell’uomo, ai valori di scambio e di merce ma, in più, estraniata dal suo ruolo di madre, portando così alle estreme conseguenze il suo solo valore in quanto forza lavoro.

Abbiamo volutamente deciso invece di non trattare e di non affrontare, come Frontiere, concetti strettamente economicistici perché crediamo sia necessario, dopo anni di analisi teoriche mono-tematiche, iniziare un nuovo percorso intellettuale.

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