Liberi di essere condizionati o condizionati ad essere liberi?
Questa domanda potrebbe sembrare eccessiva, inutile, assurda, al limite anche offensiva. Secondo noi invece una riflessione su questa tematica potrebbe essere importante. Lo scopo che ci proponiamo è quello di allargare lo spettro dei possibili punti di vista sul reale.
Al contrario invece, essendo sempre alla ricerca di spiegazioni lineari, per la scienza medica trovare la linea di demarcazione che distingue il normale dal patologico è un obiettivo fondamentale. Nel novecento molte ricerche hanno cercato di risolvere la questione.
Riflesso condizionato
Nel 1915 alcuni ricercatori elaborarono una procedura sperimentale basata sul riflesso condizionato per cercare di indurre lo sviluppo di una nevrosi sui cani.
Il riflesso condizionato, codificato dal fisiologo russo Pavlov, permette di associare una risposta automatica dell’organismo (ad esempio la salivazione dei cani alla vista del cibo) ad uno stimolo neutro (ad esempio il suono di una campanella) attraverso ripetute somministrazioni associate degli stimoli (suono della campanella seguito dalla somministrazione del cibo).
Per indurre una nevrosi nei cani, come prima cosa gli autori condizionarono il cane a salivare alla visione di un cerchio. Successivamente mostrarono al cane una ellissi (di forma molto diversa dal cerchio). Registrarono una debole risposta salivare legata alla generalizzazione (sebbene diversi, cerchio ed ellissi, sono comunque stimoli di natura simile).
Per ridurre l’influsso della generalizzazione il cane veniva sottoposto ad un programma di discriminazione (alla visione del cerchio viene sempre fatto seguire il cibo, mentre non con l’ellissi). Alla scomparsa della risposta salivare al cane venivano mostrate ellissi progressivamente sempre più simili al cerchio. Anche per queste immagini il cane veniva sottoposto ad un programma di estinzione (della risposta salivare).
Infine veniva presentata al cane una ellissi molto simile al cerchio. In questo caso il cane si trovava davanti ad una prova molto difficile. Non riuscendo a risolvere la situazione il cane diventava irrequieto ed aggressivo. Il sistema nervoso dell’animale sembrava dare segni di cedimento.
Lo stimolo produceva una risposta eccitatoria ma allo stesso tempo suscitava una risposta uguale e contraria.
Pavlov poi si accorse che queste nevrosi potevano essere indotte anche da stimoli molto intensi ed imprevedibili.
Un giorno il laboratorio del fisiologo russo si allagò. Liberare i cani dalle loro gabbie fu molto difficile. In alcuni casi, per salvarli, fu necessario convincere i cani ad entrare nell’acqua.
Questo evento traumatico suscitò nei cani una serie di reazioni anomale tra le quali aggressività ed irrequietezza.
I cani non riuscivano più a rispondere agli stimoli per cui erano stati precedentemente condizionati o rispondevano in maniera opposta a quanto avveniva in precedenza.
Secondo Pavlov il sistema nervoso centrale si protegge dalle situazioni stressanti al fine di evitare forme di esaurimento irreversibili.
Il ricercatore russo individua tre fasi di crescente anomalia legate alla durata ed alla intensità delle situazioni stressanti.
Nella fase iniziale (uguagliamento) un soggetto produce la stessa risposta nei confronti di stimoli forti e stimoli deboli. Nella fase successiva (paradossale) il soggetto risponde in modo più intenso agli stimoli deboli e meno intenso a quelli più forti. Nell’ultima fase (ultraparadossale) compaiono le reazioni più anomale. Ad esempio un cane che prima della nevrosi era particolarmente affettuoso con uno sperimentatore diventava successivamente molto aggressivo nei suoi confronti.
Alcune caratteristiche dell’animale sembrano aumentare la celerità con cui la nevrosi può essere indotta (i cani melanconici cedevano per primi). Anche la situazione ambientale influenza il processo (segni più evidenti nei cani tenuti a digiuno).
In un altro esperimento Pavlov, sempre utilizzando cerchi ed ellissi, condizionò dei cani a rispondere in modo diverso in base alla presentazione di una delle due figure geometriche.
Nel caso del cerchio il cane doveva premere la leva A, quando invece gli veniva presentata una ellisse doveva spingere la leva B. In caso di errore o di mancata risposta al cane veniva somministrata una scossa elettrica.
Ad un certo punto al cane veniva presentata una ellissi indistinguibile da un cerchio. L’animale entrava in confusione e tentava di capire come rispondere. Dopo un po’ nei cani si presentavano le seguenti risposte:
- il cane si rifiutava di rispondere accettando le scosse nell’indifferenza;
- il cane si sforzava inutilmente di rispondere in modo corretto cercando di affinare le sue risposte in modo progressivo;
- il cane rispondeva a casaccio, disordinatamente.
Utilizzando un linguaggio psichiatrico queste tre forme di risposta potrebbero essere definite:
- Catatonia (quando nell’impossibilità di evitare lo stimolo doloroso si smette di rispondere e si accetta il dolore);
- Paranoia (quando al fine di rispondere in modo corretto si mettono in atto stratagemmi assurdi e palesemente inefficaci);
- Schizofrenia (quando le risposte sono prive di logica, casuali).
Emergenza Coronavirus
Da marzo 2020 tutti noi siamo stati sottoposti a stimoli ad alto contenuto emotivo. I racconti della pandemia sono stati spesso imprecisi e confusi. Le immagini che ci sono state mostrate sono state contrastanti, ambigue, poco chiare.
Da un lato il virus ci viene presentato come un mostro invincibile, dall’altro ci viene chiesto di tornare a vivere (quasi) come prima.
Alcuni esperti ci mostrano dei cerchi, altri ci fanno vedere delle ellissi.
Per mesi mostrandoci immagini come il corteo della bare di Bergamo ci hanno condizionato ad avere paura del virus.
Ci hanno condizionato a restare a casa protetti. Ci hanno condizionato ad evitare il più possibile i rapporti interpersonali.
Poi ad un certo punto la narrazione è cambiata, l’epidemia stava passando, il virus si era indebolito e noi dovevamo tornare a lavorare, a produrre, a consumare.
Sui media accanto ai cerchi sono iniziate a comparire anche delle ellissi. Nessuno però si è preso la responsabilità di definire in modo chiaro le differenze tra queste due figure geometriche.
Velatamente ci è stato fatto capire che dobbiamo essere noi a distinguere le due figure. In caso di errore saremo puniti con una scossa elettrica (il tampone, l’isolamento, il ricovero, la perdita del lavoro, l’emarginazione sociale, la povertà).
Sia chiaro, nessuno di noi pretende di sapere la verità sul virus, noi vogliamo soffermarci sulle dinamiche del racconto del virus. La verità narrativa non è la verità storica ma determina il modo in cui vengono vissuti gli avvenimenti reali.
Nella fase 1 abbiamo risposto in modo simile a stimoli forti ed a stimoli deboli visto che la narrazione era a senso unico e tutti noi eravamo terrorizzati dal lockdown.
Nella fase 2 stimoli blandi (le prime aperture) hanno suscitato reazioni molto intense (finalmente eravamo liberi).
Nella fase 3 stiamo vivendo in modo “ultraparadossale”. Oramai siamo tutti convinti della nostra opinione. C’è chi ritiene che la pandemia sia “finta” e c’è chi parla di “virus letale”.
Ogni confronto si trasforma in scontro. Non ci importa avvicinarci alla realtà, vogliamo solo avere ragione per preservare l’immagine di noi stessi e le nostre sensazioni interne.
Dopo tanta incertezze abbiamo bisogno di sicurezza
La nostra mente, nel corso dell’evoluzione, si è strutturata in modo da farci prendere per buona la prima spiegazione in grado di ridurre lo stato di incertezza. La coscienza teme più l’incertezza del dolore, siamo disposti ad accettare la sofferenza purché essa ci liberi dal dubbio.
La nevrosi è una forma di difesa mentale. Secondo Freud l’ansia (fino ad un certo livello) è una sorta di segnale che avvertendoci del pericolo ci permette di metterci in allerta. Superato un certo livello di guardia l’ansia prenderebbe il sopravvento e la psiche sarebbe costretta a trovare un modo per rimuoverla dalla coscienza.
Sono stati individuati numerosi meccanismi di difesa.
Attraverso la “negazione” la mente cancella gli aspetti emotivi legati ad un evento significativo. La realtà viene divisa dalle reazioni emotive ad essa associate.
Nel “diniego” viene negato anche l’evento stesso. Si vive come se non fosse accaduto nulla.
Tramite la “proiezione” si attribuiscono all’altro emozioni, impulsi e comportamenti in grado di suscitare ansia ed sensazioni negative.
Nel caso della “identificazione proiettiva” sono presenti anche elementi di controllo del prossimo che viene spinto a comportarsi con modalità che rispecchiano ciò che su di esso viene proiettato. Si tratta soprattutto di elementi psichici negativi. Portare fuori le emozioni negative, proiettandole sull’altro, da alla mente l’illusione di poterle allontanare e controllare.
Per mezzo dello “spostamento” la psiche concentra su un oggetto esterno o su una situazione le sensazioni negative. Tipico il caso delle fobie: la paura verso l’oggetto selezionato nasconde l’ansia suscitata dalla vera situazione di pericolo.
La “razionalizzazione” permette alla mente di controllare l’ansia attraverso l’uso del pensiero logico.
Gli eventi imprevedibili vengono spiegati costruendo collegamenti e relazioni spesso del tutto arbitrari. Simile il processo della “intellettualizzazione” dove, ad esempio, si cerca di spiegare con numeri, dati e tabelle gli eventi al di fuori del nostro controllo.
Interessante il meccanismo della “formazione reattiva” che spinge le persone a comportarsi in modo opposto a quello che sentono, tipico il caso in cui la rabbia generata dalla frustrazione viene vissuta come inaccettabile e trasformata in sentimenti positivi.
Un importante meccanismo di difesa e la “regressione”. In caso di difficoltà emotive si attiverebbero modalità di pensiero legate alla storia di sviluppo dell’individuo. Durante lo sviluppo ogni persona attraversa momenti fondamentali che influenzano in modo significativo la personalità, anche una personalità stabile messa di fronte a situazioni fortemente stressanti potrebbe riattivare forme di pensiero infantili.
I meccanismi di difesa sono processi fondamentali per la sopravvivenza psichica, se non esistessero, la mente sarebbe sopraffatta delle sensazioni negative suscitate dalle difficoltà della vita.
Quando però le situazioni stressanti sono troppo violente o eccessivamente prolungate il funzionamento psichico viene comunque alterato.
La nevrosi è un modo per esprimere il disagio, una forma di comunicazione basata sulla sofferenza.
Anche le più recenti ricerche cognitive sembrano confermare l’esistenza di veri e propri bias di pensiero necessari per la sopravvivenza (sia della psiche, sia del corpo).
Dobbiamo immaginare l’esistenza di due modalità di pensiero: una rapida che ci permette di affrontare velocemente le situazioni ed una più lenta in grado di elaborare strategie a lungo termine.
Ci siamo evoluti per usare la strada più breve e meno faticosa (dal punto di vista psichico) per questo il sistema veloce è sempre pronto a rispondere in modo quasi automatico. Questo sistema viene attivato dalla prima risposta utile in grado di ridurre il livello di incertezza.
Non importa se la soluzione scelta sia la più corretta, l’importante è che essa venga ritenuta valida dalla psiche.
Per il nostro cervello è meglio una risposta rapida abbastanza convincente di una lenta e costosa ricerca della verità.
Più le situazioni sono incerte ed imprevedibili, maggiore è la possibilità che i meccanismi mentali descritti prendano il sopravvento.
L’incertezza è sofferenza e la psiche non tollera per molto tempo il dubbio e la instabilità.
Quando vediamo una figura geometrica che somiglia ad un cerchio abbiamo la necessità di stabilire al più presto che non sia una ellissi.
In un precedente articolo (qui seconda parteabbiamo descritto il modo in cui la pressione sociale ci spinge a cambiare le nostre convinzioni: possiamo essere sicuri di aver visto un cerchio ma se tutti dicono di aver osservato una ellisse il dubbio che ci viene suscitato potrebbe diventare intollerabile.
La sfida tra “cerchiani” ed “ellissiani” può configurarsi come uno scontro tra nevrosi condivise indotte da chi ha tutto da guadagnare dallo strutturarsi di una società basata sull’individualismo e sulla atomizzazione.
Non abbiamo soluzioni semplici da offrire, non siamo qui per rassicurare o canalizzare le emozioni verso improbabili lotte contro nemici sconosciuti.
Con fermezza ci sentiamo però di poter affermare che non può esistere terapia per queste nevrosi che non passi per lo scambio e la condivisione delle idee.
Proprio per questo l’unica risposta che possiamo darci è riproporre la domanda con cui abbiamo iniziato la nostra riflessione, lasciando che ciascuno di noi trovi una sua personale risposta.
Liberi di essere condizionati o condizionati ad essere liberi?