MICHELANGELO E LE TOMBE MEDICEE

Michelangelo

Michelangelo Buonarroti

Michelagniolo[1]

Nome ancor oggi tanto noto eppure -come capita ai grandi artisti-  poco inteso nella sua interiorità, poco compreso nella sua scontrosa intimità.

C’è un modo giusto e un modo sbagliato di conoscere Michelangelo.

Proviamoci.

Ci sono le sue opere, create nell’arco lunghissimo di una vita operosa quanto faticosa.

Ci sono i suoi scritti -rime, epistolario, note- che sarebbe ingiusto considerare come fonte strumentale, ancillare per la illuminazione delle opere.

In questa sede cercheremo di capire l’artista per quello che ci consentono le Cappelle Medicee. Egli ci lavorò a partire dal 1520, a più riprese, interrotto dalle tristi e grandiose vicende storiche di quel periodo (sacco di Roma del 1527, cacciata dei Medici, loro ritorno…). La commessa veniva da parte di Papa Leone X addolorato per la morte del fratello Giuliano de’ Medici e del nipote Lorenzo. Il progetto iniziale, molto più grandioso, si ridusse alla fine a tre statue per tomba: il Giorno e la Notte per quella di Giuliano -oltre che il suo ritratto- e il Crepuscolo e l’Aurora  -con relativo ritratto- per quella di Lorenzo.

Il tema è “il Tempo che consuma il Tutto”[2], tema sentito da lui fervido credente come personalissima tensione spirituale e drammatica.

Drammatico è l’animo di Michelangelo. Ed eroico, come chi sacrifica ogni energia alla realizzazione della propria ispirazione interiore.

Fatica, impegno, sforzo.

Fatica nel ricostituire le sostanze di famiglia: «Pure, quello che mi chiederete, io ve lo manderò, s’io dovessi vendermi per istiavo[3]

Nel far quadrare i conti e le spese a fine mese (i piccoli e grandi introiti, scrupolosamente seguiti, le cause per le riscossioni e i contratti).

Impegno nell’”attrito con la realtà ostile”[4], dura come la materia del marmo su cui spende ogni forza, impegno drammatico allo stesso modo artistico quanto storico e quotidiano.

«Io sto qua in grande afanno e chon grandissima faticha di chorpo…e non ò tanto tempo che io possa mangiare el bisonio mio»[5].

Sforzo per i tempi ostili, visti con la tragicità profetica ricordo del Savonarola, in cui la storicità del succedersi di libertà, tirannide, sfarzo mondano affondano in un suo personale sdegnoso appartarsi, in un bisogno di fuga.

 “Il Tempo che consuma il Tutto”.

Nelle Tombe Medicee troviamo espresso questo cumulo di esperienze. Lorenzo de’ Medici era stato come un padre per Michelangelo, generoso e comprensivo. E lui riconobbe sempre questo debito di riconoscenza anche in faccia ai nuovi arrivati[6]. Nel 1527 l’orrore diffuso dalla notizia del sacco di Roma confermava in Michelangelo la sua attesa di tragica profezia. Ma il Tempo consuma Tutto e anche i Medici torneranno a Firenze ed egli si troverà ancora una volta “in colpa”… bisognoso di perdono.

La sua voglia di appartarsi e di fuga non aveva più approdi storici e quotidiani ma solo interiori. Le Cappelle Medicee lo esprimono stupendamente.

«Caro m’è il sonno e più l’esser di sasso

Mentre che il danno e la vergogna dura

Non vedere non sentir m’è gran ventura

Però non mi destar deh parla basso».

Sono versi che scriverà intitolandoli alla statua della Notte.

E parlano di danno e vergogna: storici e personali, concreti e spirituali. La Notte è personificata in una donna immersa in un sonno profondo, il capo reclinato.

Ma è nella statua del Giorno che troviamo qualcosa di particolarissimo, peculiare di Michelangelo scultore, forse per la prima volta: il non finito, quel lasciare il marmo allo stato grezzo; la testa e parte del fianco sono lasciati non scolpiti, che sembrano uscire a fatica dalla prigione di pietra che li rinserra. L’attrito con la realtà ostile qui si materializza!  Michelangelo è più in questo aspro “non finito” che nella sublime levigatezza della Pietà del Vaticano.

Ansia di isolarsi da un mondo che non sente più suo (in questo pari al suo stimato rivale Leonardo).

Egli sembra identificarsi proprio con la Notte, silente e chiusa in sé.

Noi, posteri di ogni epoca guardiamo alla schiena ricurva del Giorno espandersi e bagnarsi di tutta la luce che sale…

Riusciremo a vedere i nostri giorni liberarsi di tutto il peso della scoria grezza, della dura prigione che li rinchiude?


[1] Così si firma.

[2] Così riporta il suo biografo il Condivi.

[3] Scrive in una lettera molto toccante al padre che -come al solito- gli chiedeva soldi per sé e i suoi fratelli.

[4] Walter Binni, Michelangelo scrittore.

[5]Epistolario, 1509.

[6] Il gonfaloniere Soderini e i “repubblicani” cui pure si legò per amor di patria. I Medici se ne andavano chiudendo un‘era irripetibile di magnificenza, mecenatismo, bellezza, gioia di vivere. La nuova Repubblica rivendicava valori di libertà e di indipendenza in un clima di sobrietà e di severità inevitabile dopo la vicenda penitenziale dei savonaroliani. L’artista si spenderà con impegno civile nella difesa delle mura fiorentine.

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