La sfida dell’avvenire

Pubblichiamo un interessante articolo di Moreno Pasquinelli, apparso su Sollevazione, che rappresenta un punto di vista che condividiamo totalmente e testimonia come, in questa fase fondamentale, sia estremamente raro trovare organizzazioni che abbiano capito cosa stia realmente accadendo, staccandosi dal pensiero dominante per avviare un percorso che porti oltre il mero economicismo e la propaganda facile abbracciata anche da chi pensa di aver capito.

È un contributo profondo ed anche, perché no, ironico sul Nuovo Mondo che le élite neoliberali stanno, appassionatamente, progettando per noi, per un radioso futuro di meravigliosa distopia.

Collaborare è il solo modo che abbiamo per uscire dal labirinto sciento-tecnocratico in cui vorrebbero farci perdere, un dedalo di aberranti progettualità orwelliane, stolido progressismo, distorti scenari e mera sussistenza; l’unica strada che abbiamo è in/formare per resistere e reagire.

È tempo che le parole diventino fatti, non si può più restare nella bolla del virtuale dove ci hanno rinchiuso e dove vorrebbero che restassimo, passivi ed inutili, a lamentarci di quanto siano cattivi, ingiusti, iniqui e parossistici tutti gli atti che stanno compiendo; prendere coscienza è il primo passo, reagire ed agire devono essere i successivi.

* * *

Oh meraviglia! Com’è bello il genere umano! Oh mirabile e ignoto mondo che possiedi abitanti così piacevoli.

[William Shakespeare, La tempesta, Atto V, scena I]

Gli stivali delle sette leghe possedevano la magica capacità di far compiere con un solo passo, distanze smisurate. Se ne parla in diverse fiabe. In quella di Pollicino li indossava l’orco che mangiava i bambini. Siccome quegli stivali stremavano chi se ne serviva, Pollicino riuscì a sfilarli all’orco mentre dormiva e se ne servì per ingraziarsi i favori del Re, riuscendo così a vivere felice e contento con la sua famiglia. Metafora, come vedremo più avanti, calzante quante altre mai.

Con la cosiddetta “Quarta Rivoluzione Industriale” quella che abbiamo definito “l’avanguardia politica dell’élite mondialista”, ultima propaggine della borghesia che fu, è certa di avere ai piedi gli stivali delle sette leghe. Vuole che noi tutti la seguiamo, librandoci così nel radioso e fantascientifico futuro che le forze dirompenti della digitalizzazione e della robotizzazione finalmente consentono. Futuro mirabolante, così viene spacciato da questa élite la sua fotocopia del The Brave New World (ottima questa recensione). Come nel racconto di Aldous Huxley l’umanità starebbe per raggiungere lo stadio di una perfetta (e confuciana) armonia: non ci saranno più ricchi e poveri né conflitti sociali, non avremo né pene né preoccupazioni. Saremo felici, sani e belli, e camperemo centocinquant’anni grazie ai prodigi dell’eugenetica. Saremo più intelligenti grazie alle neuro-tecnologie. Con l’ibridazione uomo-macchina, dalla sua tomba, Nietzsche potrà cantare vittoria: “eh bravi miei superuomini!”

Pensate che abbia le traveggole? Provate a leggere La quarta rivoluzione industriale (disarmante l’introduzione di John Elkann) e, sempre di Klaus Schwab, Covid-19: The Great Reset. Vi renderete conto che questa avanguardia politica mondialista raccolta nel World Economic Forum (un vero e proprio clan di miliardari d’ogni latitudine – Cina compresa, ça va sana dire!) affiancati da teste d’uovo d’ogni branca dello scibile, è convinta di quel che dice, di essere il nuovo filantropico Redentore che per missione ha la progressistica palingenesi dell’umanità. Per dare al proprio discorso la forza della profezia che si auto avvera, non nasconde di aver previsto, e auspicato, la sindemia da Covid-19 — non pandemia signori, e che fa una bella differenza, ce lo dice The Lancet. Infine, servendosi della folta schiera di tecnoscienziati a libro paga e di politicanti che manovra come fantocci lusitani, non si fa scrupoli a sostenere che la sindemia è lo shock tanto atteso per realizzare il proprio catartico (e diabolico) piano.

In barba alla fine delle “grandi narrazioni”, a dispetto del discorso dei filosofi postmodernisti sulla morte delle ideologie, qui siamo in presenza della più ardita e prometeica delle narrazioni, della più sfacciata delle ideologie. Consapevoli che il loro sistema era sull’orlo del collasso, consci che il discorso neoliberista non aveva più generale consenso, compreso che non si può governare il mondo senza ipnotizzare le masse, senza miti e nuove fantasmagoriche e mitologiche visioni, questi tecno-assatanati nonché benefattori dell’umanità hanno resuscitato un’utopismo al quadrato, un pastrocchio sincretico che mescola Platone e Nietzsche, Cristo e Marx, Popper e Heidegger, il diavolo e l’acqua santa. Il guazzabuglio ha tuttavia un’anima, un’essenza, è il transumanesimo, l’idea di una società tecnocratica perfetta e dell’uomo aumentato iperconnesso.

Il clan dei plutocrati già prevede, per noi tecno-pessimisti, la possibilità di confinarci in apposite riserve. Non lo nasconde l’ex ministro danese dell’ambiente (ora nel WEF), l’invasata Ida Auken — Here’s how life could change in my city by the year 2030. L’analogia con quanto presagiva Huxley è impressionante; nel suo racconto i resilienti e gli scarti, finivano in Nuovo Messico, dove gli appartenenti alla iper-civiltà venivano inviati di tanto in tanto per vedere coi loro occhi quanto disgraziata fosse la vita dei “selvaggi” e quindi tornarsene nella gabbia di ferro convinti di vivere nel migliore dei mondi possibili.

Si attaglia alla perfezione, alla visione transumanista, la condanna marxiana dell’ideologia come “falsa coscienza”: l’élite plutocratica camuffa con panegirici universalistici sul “bene comune” la propria volontà di potenza e di dominio, ovvero una concezione del mondo classista e partigiana.

Sarebbe un errore fatale sottovalutare questa ideologia. La sua seducenza contagiosa non dipende solo dal suo raccogliere il fugace spirito del tempo, quello che affida alla scienza e della tecnica funzioni salvifiche. Essa ha invece radici molto più lontane e che a ben vedere tracciano il solco della civiltà occidentale. Ci riferiamo ai concetti di peregrinatio e di novum di Sant’Agostino (che introducono l’idea del progresso lineare nella storia), quindi il Terzo Regno di Gioacchino da Fiore, per il quale, dopo l’epoca del Padre e quella del Figlio, sarebbe venuta l’epoca dello Spirito Santo, il Regno in Terra della libertà, dell’amore e della pace.

Occorre impedire che l’umanità imbocchi questa strada, bisogna combattere l’ideologia dell’élite mondialista. Occorre farlo con ogni mezzo, occorre farlo sin da ora. Anzitutto smascherando il grande inganno della “pandemia”, contrastando l’uso biopolitico autoritario che ne viene fatto, quindi opponendo un’opposta visione della società e del mondo. Perderemmo la partita se spingessimo il nostro tecno-pessimismo fino ad abbracciare un’idea di società arcadica e agreste — equivarrebbe ad auto-esiliarci nella riserva indiana che lorsignori hanno già immaginato per quelli come noi. Non si può opporre un’utopia ad una distopia, nostalgie passatiste alla progressistica furia del dileguare.

Accettare davvero la sfida significa concepire un’idea opposta di progresso, in cui la scienza sia spodestata dal suo piedistallo e considerata una delle forme del sapere nient’affatto quella suprema, in cui la tecnica sia un mezzo per l’uomo e non viceversa, in cui le forze economiche siano sottoposte a controllo sociale. Infine, contro ogni irenismo, dobbiamo ribadire che il conflitto e la lotta sono la vera forza motrice della storia, che l’umano spirito di libertà, in ultima istanza, sempre prevarrà rispetto a quello della sottomissione e della servile obbedienza.

Occorre darsi una mossa poiché siamo molto indietro per quanto attiene ad un progetto fattibile di un’alternativa di società. Per questo occorre fare come Pollicino: dobbiamo rubare gli stivali all’orco per procedere spediti in una diversa direzione.

Occorre farlo ora che l’umanità è posta innanzi ad un bivio. Siamo appena entrati uno di quei passaggi storici in cui la bonaccia lascia il posto alla tempesta, alle porte di una rottura e di un brusco salto che deciderà del futuro della civiltà. L’élite ha drammatizzato la “pandemia” ed è riuscita così a trasformarla nell’evento scioccante per giustificare il salto sistemico. Invece di cadere preda dello sconforto, occorre avere l’audacia di utilizzare lo shock per utilizzarne la forza di spinta.

Lode dunque alle crisi! come sostenne Jakob Burckhardt:

La crisi deve essere considerata come un nuovo nodo dello sviluppo […] Energie insospettate si risvegliano negli individui, nelle masse, e perfino il cielo ha un altro colore. Chi è qualcosa può farsi valere, perché le barriere sono state o vengono infrante.

Le vecchie barriere stanno in effetti cadendo. Sta a noi mostrare se siamo qualcosa, pensare e agire per farci valere.

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