Denaro contante vs Denaro elettronico: le categorie morali inquinano il dibattito

La “guerra” al contante va avanti da molto tempo e la recente emergenza Coronavirus l’ha riportata all’attenzione dei più. Banconote infette da mettere in quarantena, la ripartenza possibile solo se si elimina il contante, i chip sottopelle per i più svariati usi (con i quali effettuare anche i pagamenti, perché no?). Insomma non importa che l’emergenza sia economica, di sicurezza nazionale, sanitaria, perché tanto le “soluzioni” sono quelle già scritte.
Essendo l’argomento estremamente ampio sarebbe necessario dividere la narrazione in alcune sezioni, ma, una delle più importanti, ravvisiamo essere quella delle categorie morali che inquinano il dibattito sul tema.

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Da molti anni ormai veniamo, a più riprese, bombardati dal frame secondo cui il denaro elettronico sarebbe per la sua stessa natura, ed essenza, più puro, più morale, più giusto ed equo del denaro contante, associato invece quest’ultimo alla cupidigia dell’evasore fiscale oppure al mezzo di sopravvivenza primo del criminale. Inutile dire che questi siano artifici retorici per mandare avanti un’idea eliminando il dibattito democratico: non si discute nel merito ma anzi si mettono a confronto le categorie morali di bene e male, obbligandoci quindi a prendere le parti del bene: rinunci a Satana? Rinuncio.

Si rende quindi necessario mondare le nostre anime prima di cominciare una riflessione su un tema che ritengo di enorme importanza. Cominciamo con un po’ di fatti. (fonte prima: Killing the Cash Cow, di Kevin Dowd)

Esistono prove che indicano come in paesi che permettono l’uso di banconote di grosso taglio il tasso di criminalità sia più basso che in paesi che usano banconote di piccolo taglio (Simon Black: An interesting perspective on the War on Cash).

Parlano invece dell’economia sommersa, il nero, anche qui possiamo contare su uno studio interessante: F. Schneider and C. C. Williams, The Shadow Economy, London: Institute of Economic Affairs, 2013. In tale studio si evidenzia come nelle economie di 21 paesi OCSE la media del sommerso si attesti al 10% del PIL. Anche supponendo di poter far emergere tale economia, il che sarebbe comunque impossibile, si noterebbe come la maggior parte dei soggetti “evasori” si collochino, per livello di reddito, nella no tax area arrivando così, sempre nel migliore dei casi, a guadagnare, da questa operazione di tassazione, un misero 1% di PIL. Si nota anche, nello stesso studio, come le dimensioni dell’economia sommersa vadano ad ingrandirsi laddove ci sia alta disoccupazione e politiche di austerità volte a ridurre il deficit del paese in questione.
È importante comunque riflettere sul fatto che i paesi presi in esame presentano normative estremamente diversificate (ad esempio sul commercio di droghe leggere e sulla regolamentazione della prostituzione) le quali rendono alcuni settori, per forza di cose, sommersi in alcuni paesi e, specularmente, in altri paesi più visibili all’agenzia delle entrate.

Ancora non è abbastanza per potersi liberare della paura del peccato. Sono ragionevolmente sicuro che il vostro pensiero si stia rifugiando nell’evidenza che una transazione elettronica sia più visibile, meno soggetta al sordido arbitrio delle persone rispetto ad una qualsiasi transazione operata brevi manu in un vicolo buio della città. Tutto vero, ma la cosa vale solo per i lavoratori dipendenti i quali mai sono sfuggiti al fisco. Il grosso dell’evasione fiscale non si fa né fra i lavoratori dipendenti né nelle PMI, il cui numero si è drammaticamente ridotto negli ultimi anni. Il grosso dell’evasione fiscale si compie in operazioni di riciclaggio di denaro tramite le banche. A questo proposito sempre Kevin Dowd ci indica uno studio del 2015 del governo britannico (UK national risk assessment of money laundering and terrorist financing). Dice Dowd:

Dal momento che il rischio più alto è rappresentato dal riciclaggio di denaro in ambiente bancario, ed essendo quest’ultimo già altamente regolato, si dovrebbe parlare del fallimento nella regolamentazione piuttosto che di un problema col denaro contante di per se.

E il problema sembra essere più serio del previsto visto che, per sua stessa ammissione, la banca HSBC ha rivelato di aver riciclato il denaro di un cartello della droga messicano Outrageous HSBC settlement proves the drug war is a joke, Rolling Stone).

Cosa succede, anzi cosa è già successo, nella casa comune europea?

Forse ricorderete lo scandalo LuxLeaks (dove Lux sta per Luxembourg, il Gran Ducato del Lussemburgo, paradiso societario tra i paesi fondatori dell’UE, il quale ha avuto l’onore di esprimere il Presidente della Commissione Europea Juncker, all’epoca dei fatti sia primo ministro che ministro delle finanze di quel paese).
Da Wikipedia:

Grazie alla creazione di strutture finanziarie complesse e accordi segreti, approvati dal Tax office del Lussemburgo ai tempi in cui Jean-Claude Juncker era primo ministro, molti giganti aziendali hanno goduto di regimi fiscali agevolati facendo perdere, mediante l’esercizio di una massiccia elusione fiscale, miliardi di entrate tributarie ai governi nazionali dei singoli paesi in cui le multinazionali prevalentemente operavano.

Il risultato è stato la pubblicazione, nel novembre 2014, di 548 documenti sugli accordi segreti in materia di imposizione fiscale tra 343 aziende e le autorità del Granducato, che, sebbene probabilmente legali a livello nazionale, potrebbero avere violato le norme comunitarie sulla concorrenza e gli aiuti di stato.

KPMG costruisce un nuovo edificio per uffici per 1.600 persone in Lussemburgo.
Le aziende coinvolte nel Luxembourg Leaks risultano provenire da 12 paesi e fra esse figurano i più grandi colossi mondiali.

Le società, per risparmiare miliardi di tasse sui profitti, facevano transitare i capitali attraverso il Lussemburgo, pagando anche meno dell’uno per cento di imposte sui profitti depositati nelle banche del Granducato.

I documenti pubblicati dimostrano come PricewaterhouseCoopers (PwC), agenzia di consulenza fiscale tra le più grandi al mondo, ha accompagnato le aziende multinazionali nella elaborazione di strategie finanziarie finalizzate ad ottenere regimi fiscali favorevoli in Lussemburgo dal 2002 al 2010.

Le LuxLeaks, che non fanno parte di WikiLeaks, hanno attirato l’attenzione ed i commenti internazionali sui meccanismi che hanno consentito l’elusione fiscale in Lussemburgo e altrove.

Tutto questo è successo con buona pace di coloro che, per anni, agitando in aria il ditino a mo’ di rimprovero, ci hanno raccontato che all’estero i politici si dimettono subito al primo sentore di scandalo.

Siamo ancora convinti che il denaro contante possieda un’intrinseca carica negativa? E se anche fosse, il denaro elettronico ne è, o potrebbe esserne, immune? – A mio parere NO e NO.

Altre domande comunque dovrebbero sorgerci spontanee come ad esempio: come mai, viste le dimensioni del fenomeno di elusione/evasione fiscale a mezzo bancario, ancora i nostri governanti perseverano nel colpevolizzare uno strumento, come il contante, evidentemente non responsabile?

Spesso abbiamo constatato che i problemi, almeno per come sono stati posti, erano falsi, ma le soluzioni vere, verissime.

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