Coronavirus: la testimonianza di un virologo

Mi chiamo Bruno Canard, direttore di ricerca CNRS ad Aix-Marseille. La mia équipe lavora sui virus a RNA (acido ribonucleico), a cui appartengono i coronavirus. Nel 2002, la nostra équipe lavorava sulla Dengue, questo ha fatto sì che fossi invitato ad una conferenza internazionale in cui si parlava di coronavirus, una grande famiglia di virus che non conoscevo. Fu in quel momento, il 2003, che emerse l’epidemia della SARS (Sindrome Respiratoria Acuta Severa) e l’Unione Europea lanciò dei grandi programmi di ricerca per cercare di non essere presa alla sprovvista in caso di emergenza. La procedura è molto semplice: come anticipare il comportamento di un virus che non conosciamo? Semplicemente studiando l’insieme dei virus noti per disporre di conoscenze applicabili ai nuovi virus, nettamente sulle modalità di riproduzione. Questo tipo di ricerca è incerta, i risultati non sono pianificabili e richiede molto tempo, molte energie e molta pazienza.

È una ricerca di base, che necessita di pazienza, su programmi a lungo termine, che possono eventualmente avere degli sbocchi terapeutici. È anche indipendente: è il modo migliore per essere al riparo da uno scandalo “Mediator” [1]-bis.

All’interno della mia équipe abbiamo sviluppato una collaborazione con una rete europea che ci ha condotto a dei primi risultati già nel 2004. Ma nel campo della ricerca virale, in Europa come in Francia, la tendenza è piuttosto quella di mettere tutte le risorse in gioco in caso vi sia un’epidemia in corso e, in seguito, dimenticare. Dal 2006, l’interesse dei politici per la SARS-CoV è scomparso e non sapevamo se avesse ancora un futuro. L’Europa ha annullato i grandi progetti a lungo termine, in nome della soddisfazione del contribuente. Attualmente, alla comparsa di un virus, si chiede ai ricercatori di mobilizzarsi d’urgenza e di trovare una soluzione per il giorno dopo. Con dei colleghi belgi ed olandesi, abbiamo inviato cinque anni fa due lettere d’intenti alla Commissione europea per dire che era necessario giocare d’anticipo. Zika ha fatto la sua comparsa durante l’invio di queste due lettere.

La ricerca scientifica non funziona in emergenza attraverso la richiesta di una risposta immediata. Con la mia équipe abbiamo continuato a lavorare sui coronavirus, ma con scarse risorse e con condizioni di lavoro che si sono sempre più degradate. Quando me ne sono lamentato la risposta è stata spesso “quel che fate voi ricercatori, è utile alla società e lo fate per passione…”

Ho pensato a tutti i dossier che ho valutato

Ho pensato a tutto il materiale che ho rivisto per le pubblicazioni

Ho pensato al rapporto annuale, a quello biennale, a quello quadriennale

Mi sono chiesto se qualcuno leggesse i miei rapporti e se queste stesse persone leggessero le mie pubblicazioni

Ho pensato ai due permessi maternità, ai due per malattia non rimpiazzati in una équipe di 22 persone

Ho pensato ai due colleghi che erano con me all’inizio, che ora sono altrove:  perché in pensione o o perché promossi, ed ai posti persi perché non rimpiazzati

Ho pensato a Patrizia, ingegnere di ricerca, per 11 ani con Contratto a tempo determinato, che non poteva affittare un appartamento o chiedere un prestito in banca

Ho pensato al coraggio di Pedro che ha lasciato un posto di CR1 al CNRS per dedicarsi all’agricoltura biologica

Ho pensato alle decine di migliaia di euro che ho sborsato per inscrivermi a congressi internazionali molto costosi, mi ricordo di aver spesso mangiato una mela ed un panino mentre i nostri colleghi dell’industria farmaceutica partecipavano al banchetto

Ho pensato al Credito d’Imposta per la Ricerca che con la presidenza Sarkozi, è passato da 1,5 miliardi a 6 miliardi annuali

Ho pensato al presidente Hollande e, poi, a Macron che hanno, scientemente, perpetuato questa rapina che fa sì che io passi il mio tempo a scrivere progetti ANR

Ho pensato ai colleghi che hanno dovuto gestire la penuria che restava a disposizione

Ho pensato a tutti i progetti ANR che ho scritto e che non sono stati selezionati

Ho pensato a quel progetto franco-tedesco, che non ha avuto alcuna critica negativa, ma la cui valutazione è durata talmente a lungo, che mi è stato chiesto di depositarlo, di nuovo, tale e quale, un anno dopo, per poi sentirmi dire che era rifiutato per mancanza di fondi

Ho pensato all’appello flash dell’ANR[2] sul coronavirus appena pubblicato

Ho pensato di smettere di scrivere progetti per l’ANR, ma poi ho pensato a tutti i ricercatori precari che lavorano su questi progetti all’interno della nostra équipe

Ho pensato che non avevo più il tempo per portare avanti una ricerca nel modo in cui lo avevo desiderato e che rea la ragione per la quale avevo firmato

Ho pensato che, momentaneamente, avevamo perso la partita

Mi sono chiesto se tutto questo fosse davvero utile per la società e se fossi ancora appassionato del mio lavoro

Mi sono chiesto se non fosse meglio cambiare mestiere per fare qualcosa di ininteressante, nocivo per la società ma per il quale sarei pagato meglio

La risposta è no

Spero, attraverso la mia voce, di far sentire la giusta collera presente nell’ambito universitario e della ricerca pubblica in generale

Traduzione di Maria Micaela Bartolucci

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