SFOGLIANDO ARISTOTELE

Proviamo a tirar fuori dallo scaffale un testo di Aristotele…quello della “Retorica”[1] è a portata di mano: il pomeriggio è soleggiato, la primavera incipiente incoraggia l’avventura, in questo caso intellettuale. 

Cominciamo a sfogliare partendo dal libro I (sono tre in tutto); nella prima parte ad un certo punto troviamo: «Dal momento che diciamo che è un bene ciò che è desiderabile per se stesso e non in funzione di un’altra cosa…e poiché ciò che esiste per se stesso è il fine»ecco  fermiamoci un attimo. Il filosofo ci sta dicendo che il bene maggiore è ciò che corrisponde ad un fine, che per un soggetto, un individuo, solo ciò che risponde ad una sua finalità intrinseca è ciò che è preferibile a tutto il resto; la somma soddisfazione dell’essere si ha quando tutto il “potenziale” si sarà realizzato coerentemente nella sua vera sostanza, la compiutezza del traguardo della sua natura, della sua verità più profonda. Più avanti è ancora più preciso e aggiunge degli esempi (a noi utilissimi): «una cosa che costituisca un fine è maggiore di una che non lo costituisca: l’allenamento, ad esempio, per la forma fisica […] contemporaneamente  è conseguente il vivere all’essere in salute, ma non l’essere in salute al vivere». Perentorio!

Anche al di là di precisazioni metodiche che arricchiscono oltremodo il testo ricaviamo ammonimenti  chiarissimi: è il vivere (con tutte le sue ricche e profonde  implicazioni) il fine ultimo non la mera sopravvivenza biologica; vale a dire -per restare nell’ambito della  nostra esperienza recente- se tu mi chiudi in casa prigioniero, senza frequentazioni sociali, senza possibilità esplorative dell’ambiente, senza -in moltissimi casi- effusioni sentimentali tu mi stai inibendo il fine ultimo che è l’unico che conta e dà senso: il vivere nella sua  sostanza. Altro che “lo facciamo per il vostro bene”, già, quale bene? risponderebbe il filosofo. 

Facciamo un grande balzo e saltiamo al libro secondo (non avevamo detto che stiamo facendo solo una cavalcata tra le pagine di un libro?) là dove si parla di compassione. 

Leggiamo: «tutto quello che temiamo nei confronti di noi stessi suscita la nostra compassione…tutte queste circostanze, apparendo imminenti, determinano in maggior misura pietà, sia perché chi soffre non merita questo destino, sia perché la sofferenza appare davanti ai nostri occhi.». In altre parole ci sta dicendo Aristotele che è inevitabile provare pietà se una sofferenza ci viene sbattuta davanti ai nostri occhi ma non la proviamo se il fatto non è reso visibile: pensiamo ai mass-media, governano a comando le nostre emozioni, si piange quando lo decidono loro (“in onda!”)  e non si piange quando loro ti nascondono agli occhi tutte le sofferenze che pure implicherebbero la nostra compassione. Il piano dominante rimane quello dell’emotività non del ragionamento (a conferma il nostro testo aggiunge che sono capaci di provare pietà autonomamente “le persone colte” proprio perché riescono a sottrarre la consapevolezza dal piano meramente emotivo e perché conoscono i fatti). 

Andiamo avanti, sempre nel secondo libro; dove si parla dei giovani: «I giovani, per quel che riguarda il carattere, sono inclini ai desideri, e portati a fare ciò che desiderano. Tra i desideri fisici, sono inclini a seguire soprattutto quello sessuale, e in questo sono incapaci di controllarsi. Sono incostanti e volubili nei loro desideri, il loro desiderio è intenso ma viene meno rapidamente». Non si riesce a non pensare a tutte quelle “rivoluzioni giovanili” e “liberazioni sessuali” che dal dopoguerra ad oggi tanto successo e gradimento (già, poteva andare diversamente?) hanno avuto e così tanto hanno irretito i giovani. Ma c’è di più: «si sdegnano quando pensano di subire un’ingiustizia…desiderano la ricchezza in misura minima perché non ne hanno ancora provato il bisogno…» (continuiamo a godere della bellezza di questi passi) «La loro indole non è cattiva ma buona, perché non hanno ancora assistito a molte azioni malvagie, si fidano facilmente perché non sono ancora stati ingannati molte volte». Sembra che il filosofo tradisca una certa tenerezza nell’analizzare con la sua sonda spietata questi momenti agli albori della vita ma noi -che montiamo sulle sue spalle per vedere meglio- riconosciamo anche quanta vulnerabilità (specie dopo le Grete, le sardine, le generazioni X..) presentino le “anime nuove” e quanto sia alto il pericolo di essere manipolati. Si prosegue infatti: «Vivono inoltre nella speranza. La speranza, infatti, riguarda il futuro, mentre il ricordo riguarda il passato, e per i giovani è lungo il futuro e breve il passato [] Si lasciano ingannare facilmente per il motivo che si è detto (sono pronti a sperare)»siamo così arrivati al punto. 

Incontriamo poi subito dopo un’altra illuminante osservazione: «I giovani preferiscono compiere azioni belle piuttosto che vantaggiose, in quanto vivono più guidati dal carattere che dal calcolo, ed è il calcolo che mira all’utile, mentre la virtù tende al bello». Ecco, riflettiamoci un po’, lasciamo andare un po’ anche i nostri pensieri in libertà: viene in mente che il bello non fa più parte delle nostre città, sono brutte, orientate al brutto e concepite solo per l’utile (il calcolo!)  quindi -se è vero ciò che dice Aristotele- non c’è virtù nel nostro mondo!  Il nostro ambiente sembra costruito da vecchi (non è forse così?) per vecchi, avidi ed egoisti; è proprio la gioventù (dello spirito e del corpo) che ne è espulsa; e se i giovani non hanno consapevolizzato ciò (lo avvertono inconsciamente) ciò è dovuto solo alla manipolazione, di cui sopra abbiamo letto la spiegazione cui essi vanno incontro. 

Concludiamo con un breve periodo che può completare e spiegare quanto fin qui detto sul nostro mondo: «la ricchezza è come una forma di stima del valore di tutte le altre cose, e per questo motivo tutto sembra acquistabile per mezzo di essa».

(Aggiungo solo una mia considerazione: sembra proprio che i nostri nemici abbiano studiato prima di noi ciò che per noi viene definito solo come una sorpassata anticaglia…) 


[1] Abbiamo usato l’edizione Classici greci e latini della Mondadori con traduzione e note di Marco Donati 

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