Dove si nasconde il tempo? Lo percepiamo perché lo concepiamo: la materia della quale è fatto, la continuità che ci appare, è un costrutto mentale nel quale il presente, attimo fugace e privo di essenza, incalza il futuro mentre si trasforma in passato.
In effetti una parte di esso è stata e non è, una parte sarà e non è ancora […] Ma che cosa sia il tempo e quale la sua natura, dalle dottrine tramandate, è oscuro, similmente a come sono oscure le proprietà intorno alle quali prima ci è capitato di discutere¹.
Il futuro non ha essenza, se non quella, priva di sostanza, della speranza o del timore; il passato è solo quel residuo che persiste nella memoria che, quando è condiviso, prende il nome di “storia”.
Entrambi, passato e futuro, sono sempre una proiezione del presente, della Weltanschauung che lo informa.
Il futuro è fatto di scopi, mete, prospettive, e tutto questo si appoggia sul passato, che è la materia di cui siamo fatti, ciò che conosciamo e sappiamo fare, il mondo nel quale viviamo. Parliamo un linguaggio che è stato elaborato attraverso i secoli e i millenni, impariamo cose che sono state elaborate dalla vicenda collettiva che si è dipanata nel tempo, dall’inizio del tempo, ovvero ciò che conosciamo e sappiamo fare.
Non è necessario riscoprire, nel corso di ogni generazione la coltura del frumento, la navigazione, la carpenteria. Non dobbiamo reinventare la ruota, come recita un adagio assai diffuso.
Caratteristica del tempo è quella di essere “aperto”, sia innanzi che a ritroso. Non è possibile individuare un inizio del tempo , così come è impossibile concepirne una fine; anche se se ne postulasse una ciclicità, questa non potrebbe metaforizzarsi in un cerchio, un ouroburos, ma in una spirale nella quale il ripetersi di talune regolarità non comporterebbe la ripetizione puntuale del tutto -ogni eventuale età dell’oro non sarebbe testimoniata dagli stessi occhi o agita dagli stessi agenti e tale spirale sarebbe senza inizio e senza fine, poiché il non-tempo sarebbe non-essere, e il non-essere è inconcepibile dalla mente, il cui pensiero si fonda sull’essere.
Tuttavia, il flusso del tempo (che, nonostante le apparenze, continua a fluire), ci ha portato a quest’epoca miserella e miseranda, nella quale si sta verificando quella che potremmo definire come “chiusura del tempo”: oggi, non solo, non si riesce più ad intravvedere un futuro -che è sempre fatto di aspettative, ambizioni, speranze- ma si sta anche profondendo ogni sforzo per scancellare il passato: la memoria, la storia i saperi, e finanche tutto ciò che si intendeva fino a ieri col sintagma “natura umana”.
Il passato viene, via via, annichilito dalla furia iconoclastica del presente, che impone la propria nichilistica protervia sulla memoria comune: stiamo assistendo ad una sistematica distruzione di tutto ciò che è stato tramandato attraverso i millenni: non solo la cultura, la storia, i fondamenti dell’essere sociali, ma finanche la natura biologica dell’uomo, essenza ultima di un’umanità ormai priva di altro fondamento.
Il futuro, dal suo canto, è velato da una caligine così densa che non è possibile scorgere alcun appiglio al quale aggrappare speranze aspettative o ambizioni.
Come si fa a pensare “Cosa farò in futuro?”, se quel futuro non c’è?
Oggi, il tempo si è chiuso, contratto in un eterno presente che trova forma nello stato di eccezione permanente di questi tempi tristi: la perenne attesa di un eschaton che non giunge mai a compimento, che ha trasformato il fluire delle umane vicende in un eterno presente, nella diuturna replica di una commedia di spettri nella quale la vita tutta è sospesa in un distopico nunc stans, una ripetizione di giorni sempre uguali.
La terrificante rappresentazione del morbo ha annichilito ogni altro aspetto dell’esistente, cristallizzando il presente in un rito apotropaico permanente che richiede l’olocausto di ogni forma di vita, che si possa definire tale, ad un idolo insaziabile, ad una liturgia assurda, concepita da sacerdoti psicotici, che richiede alla folla cieca sottomissione, affinché si possa godere del privilegio di essere ammessa alla comunità dei fedeli.
Extra Ecclesiam nulla salus.
Il feticcio autopoietico al quale è stato dato il nome di “nuova normalità” ha scisso il tempo storico in una novella dicotomia: AC/DC, Ante Covid e Dopo Covid, un nuovo eone la cui promessa è quella di traghettare l’umanità, lacerata dalla pestilenza, verso un rinnovato ciclo temporale, un novus ordo saeclorum mondo dai peccati, nel quale la promessa di redenzione avverrà per tramite di un Agnus Dei immunitario, transustanziato, nella pozione salvifica, da Lascienza, novella divinità qui tollis peccata Mundi.
Scriveva Jung:
È stato necessario l’impoverimento senza precedenti del simbolismo per riscoprire gli dei come fattori psichici, cioè come archetipi dell’inconscio. […]Perciò oggi abbiamo una psicologia, perciò parliamo di inconscio. Tutto questo sarebbe, ed è in realtà, superfluo in un’epoca e in un tipo di cultura dotati di simboli, poiché questi sono spirito che viene dall’alto, e anche lo spirito è allora in alto. Nella modernità queste forme, non potendo essere completamente ablate hanno assunto forme grottesche².
Le grottesche divinità ctonie dell’oggi hanno inghiottito il tempo, trasformandolo in una perenne attesa, un incessante purgatorio, attraverso il quale, l’umanità possa espiare il peccato fondamentale che l’affligge: quello di esistere nella carne, corruttibile e corrotta, che, nella rappresentazione culturale dei nostri tempi, contamina il mondo, altrimenti innocente (cos’altro indicano concetti come “crisi climatica” ed “esaurimento delle risorse”?). per giungere, finalmente, ad un nuovo Eden, nel quale scorreranno fiumi di Coca Cola e di hamburger di soia (Il latte e il miele sono un po’ datati), e il lupo si accoppierà con l’agnello (perché la futura sessualità non prevederà differenze di specie).
La “nuova normalità” sarà un moderno paradiso terrestre nel quale sarà impossibile peccare, non per mancanza di serpenti, ma perchè l’albero della conoscenza è stato abbattuto e, in suo luogo, è stata posta una biblioteca di manuali di istruzioni per l’uso.
Günther Anders scrisse che “L’uomo è antiquato”; oggi questa definizione è stata ampiamente superata: l’uomo è diventato pleonastico e viene, pertanto, sospeso in un limbo fatto di colpa ed espiazione, in attesa che ne sia deciso il destino.
[2] C. G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, Torino 1977, p.4.
Non è possibile individuare un inizio o una fine del tempo. Ma fare delle ipotesi è possibile: il tempo è iniziato con il Big Bang e finirà con la morte termica, quando l’entropia universale raggiungerà il massimo.
[…] Di Pier Paolo Dal Monte, Frontiere.me […]