«Povera patria
Schiacciata dagli abusi del potere
Di gente infame, che non sa cos’è il pudore
Si credono potenti e gli va bene quello che fanno
E tutto gli appartiene
Tra i governanti
Quanti perfetti e inutili buffoni
Questo paese devastato dal dolore…»[1]
Il termine “patria” ha, in Italia, uno strano destino.
Laddove altri hanno la “grande madre”, noi abbiamo ereditato dal latino “la terra dei padri”, il nostro concetto di “patria” che suona, però, estraneo ed estraniante, mai entrato appieno nel nostro bagaglio ideologico: c’è quasi dell’intolleranza, della ritrosia, una sorta di reazione avversa nei confronti di un termine, “patria”, che non ci è familiare, che è percepito quasi fosse qualcosa che non appartiene appieno alla nostra cultura. Eppure, a ben guardare, storicamente non è così: dalla cultura latina in avanti, il concetto di “patria” è reiterato e, quindi, assolutamente presente nella nostra letteratura e nella nostra tradizione. L’averlo messo nel dimenticatoio e l’averlo lasciato lì a muffire è fatto che appartiene alla moderna sub-cultura, progressista e radical chic, di quella sinistra, accidentalmente, guarda caso, sedicente antifascista, che ha avuto l’ardire di formulare l’assurda equazione patria = fascismo. Come se questo concetto non appartenesse all’intera storia del nostro paese ma solo ad una parte di essa: intendiamoci, è chiaro che il patriottismo rappresentava uno dei suoi cardini, ma confinarlo a quel periodo storico o, peggio, equipararlo ad esso vuol dire mistificare la cultura italiana e rinnegare le nostre radici.
Quanta stoltezza, quanta becera superficialità, quanto sciatto qualunquismo e quanto calcolo si nascondono dietro una tale forzata assimilazione che, per altro, ancora impantana non solo le menti dei peggiori sinistri ma anche quelle di molti tra coloro che si vorrebbero scevri da tale sovrastruttura ideologica: l’allergia al termine “patria” è trasversale ed anche rigorosamente legata ad un certo snobismo che alberga, in fondo, in fondo nella recondita concezione del mondo di molti intellettuali.
I recenti afflati antieuropeisti hanno fatto riemergere il concetto di “patria” dal luogo recondito in cui era stato relegato negli ultimi trent’anni ed allora è tornato di moda, anche in certi ambiti culturali: rispolverato e tirato a lucido, ha avuto nuovi adepti ma, ciononostante, la detrazione era dietro l’angolo ed ecco infatti che, non appena liberato dalla sua prigione ideologica, ha subito un nuovo affondo, sempre ad opera di illuminati intellettuali che, dopo averlo assimilato al fascismo, si sono affrettati a bollarlo come “populismo”.
Tragico destino quello della “patria”, ieri concetto fascista, oggi populista, sempre e comunque un significato connotato in senso negativo…
Sarebbe bene uscire da questa impasse mistificante e fortemente ideologizzata, stantia ed ormai incongrua, per restituire dignità terminologica ad un significante, “patria”, che da troppo tempo subisce, direttamente o indirettamente, le angherie del pensiero dominante, quindi del liberalismo, anche quando esso veste i panni di una sinistra stracciona, intanto facendo chiarezza su un concetto fondamentale, ovvero che “patria” e “stato” non sono due concetti coincidenti ma ben distinti: la “patria” è, appunto, la “terra dei padri”, quella in cui si sono sviluppate la nostra civiltà e, quindi, la nostra cultura, il secondo, lo stato, coincide, invece, con una sovrastruttura, ovvero con l’amministrazione, nel nostro caso specifico, il liberalismo di cui i governi, che si susseguono senza soluzione di assoluta continuità, sono espressione pura. Non cogliere questa differenza equivale ad una grave superficialità.
Il fine di questa ideologia fantasma che è il liberalismo è il totale smantellamento della nostra civiltà, una civiltà si smantella dalle fondamenta e le fondamenta sono esattamente in quell’insieme di strutture e legami che sono proprie di una nazione, che la identificano come tale e, come tale, la distinguono dalle altre e che hanno nella ”terra dei padri” la propria origine.
Per tutte queste ragioni appare più che mai necessario liberare la parola “patria” da tutte le sovrastrutture ideologiche che le sono state indebitamente messe addosso e tornare al significato originario del termine, senza cadere nella trappola liberale che ne vorrebbe la cancellazione terminologica ma anche, e soprattutto, emotiva affinché qualsiasi afflato venga soppresso e scompaia così, una volta per tutte, l’idea dell’esistenza di una nazione che non sia semplicemente una indecorosa espressione geografica ma che sia invece figlia di una civiltà profondamente radicata, con le sue peculiari fondamenta linguistiche, culturali e spirituali.
Del resto questo è proprio uno dei termini di quel trittico ideologico “Dio, patria, famiglia”, che sia fascista o mazziniano è irrilevante in un tale contesto, preso di mira non solo dalla sinistra ma in particolare dal liberalismo affinché quei concetti, fondamento della nostra civiltà, scompaiano definitivamente da ogni visione del mondo, al fine di poter far spazio all’ambizioso progetto globalizzante che mira alla costruzione di una misera società meticcia, apolide, priva di spiritualità e di legami, prona solo al consumo.
La terra di padri è terra di condivisione di valori e tradizioni comuni, il liberalismo, negando questi concetti, deve negare, al contempo, le unificanti radici comuni e quindi l’appartenenza ad una medesima comunità: questo è l’attacco violento e pernicioso che si sta portando avanti e contro il quale siamo chiamati a combattere con i mezzi che sono in nostro possesso, patrioti non di uno stato purchessia ma di una communitas che ci unisce e ci identifica, al di sopra e al di là della forma governativa che le élite gestiscono.
[1] Battiato, F., Povera patria, in Come un cammello in una grondaia, 1991
Era il giorno della memoria qualche giorno fa e a me piace ricordare, anche se spesso ciò che ricordo non è quello che vorrebbero altri.
Patria per me è un termine
sospetto, intanto perchè fu tirato fuori dalla massoneria per giustificare
quella macelleria sociale che ci hanno costretti a chiamare
“risorgimento”. La patria nacque in Italia per asservire interessi
massonici, finanziati dagli inglesi. E qui ricordo De Andrè: “Al Dio degli
inglesi non credere mai”.
E la patria fu ampiamente sfruttata dai Savoia in quel mattatoio che chiamiamo “Prima guerra mondiale”.
E la patria fu riutilizzata quasi inalterata in quel nuovo mattatoio che chiamiamo “Seconda guerra mondiale”.
A farla breve, in oltre 150 anni di Stato Italiano, la parola patria è stata quasi sempre usata contro il popolo.
E già, poi si dice che il popolo non apprezza la parola. Forse bisognerebbe sciacquarsi la bocca prima di usare parole come patria, che hanno in sé qualcosa di sacro. Apprezzo il modo in cui ne parla Battiato, ma è riduttivo scagliarsi contro il fascismo o contro la sinistra. Il problema è che le parole andrebbero rispettate. Le parole profanate poi non vengono più rispettate.
Patria. Gloriosissima Idea.
Patria sarebbe nata in Italia dalla feccia massonica? Nata dunque dal letamaio massonico? Nata? Non è così.
Ma la Storia della Gloriosissima Patria Nostra è un’altra cosa. Ed e’ Storia con la S maiuscola.
Vero è che il termine è stato “rispolverato” per gli scopi infausti della finanza brittuncula, ma è stata per l’appunto rispolverata, non certo inventata dai genocidi parafiliaci khazaro anglo-sassoni.
Ricordiamo dunque a tal proposito Ottaviano Augusto, il padre dell’Italia, il padre degli italiani, primo imperatore di Roma che oltre a ricevere i titoli di Imperator, Princeps, Pontifex Maximus e altri ancora ottenne il titolo di Pater Patriae, Padre della Patria. L’idea di Patria è quindi piuttosto antica, visto e considerato che i Romani sostenevano che in precedenza il titolo fosse stato conferito niente popòdimeno che a Romolo (se mai è esistito, 8° secolo a.c.) e Marco Furio Camillo (446 a.c. circa – 365 a.c.). Quindi no, Patria e massoneria non hanno nulla da spartire tra di loro, in attesa che la seconda concluda la sua esiziale esistenza la dove merita : nella spazzatura della storia.Sotto un elenco breve dei nostri avi che hanno dato lustro alla Patria :
–
Romualdo Guarna (Scuola Medica Salernitana)
Troctula de Ruggero (Scuola Medica Salernitana)
Matilde di Canossa (Vice Regina Vicaria d’Italia)
Leonardo Fibonacci (non ha bisogno di presentazioni)
Luca Signorelli (affrescatore principale di quel magnifico monumento di gotico-romanico che è il Duomo di Orvieto)
Bartolomeo Colleoni (condottiero di ventura)
Federico da Montefeltro (non ha bisogno di presentazioni)
Sichelgaita di Salerno (“condottiera” e moglie del famigerato Roberto d’Altavilla detto il Guiscardo)
Sigismondo Malatesta (non ha bisogno di presentazioni)
Cacciaguida degli Elisei (crociato. O perlomeno così raccontava il suo illustrissimo discendente Durante degli Aldinghieri)
Castruccio Catracani (condottiero di ventura)
Caterina da Forli, la tigre di Imola (non ha bisogno di presentazioni)
Gentile da Fabriano (pittore e incisore)
Venanzio (inventore)
Francesco Laurana (scultore ed architetto)
Guta di Capua (condottiero sannita all’epoca dell guerre sociali)
Luciano Laurana (scultore ed architetto)
Francesco di Giorgio Martini (scultore ed architetto)
Antonio da San Gallo il Giovane (scultore ed architetto)
Antonio da San Gallo il Vecchio (scultore ed architetto)
Si potrebbe andare avanti per altri 7-8 mesi……
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