Accade in Italia: gli emendamenti inaccettabili

In data 6 aprile 2020, il bilancio dell’epidemia di Coronavirus in Italia ha raggiunto un nuovo tragico record:16.523 morti.

 

Fra questi troviamo decine di medici e infermieri a riprova della pericolosità della situazione.​

 

In questo drammatico frangente la maggioranza e le opposizioni hanno trovato il tempo di presentare ambigui emendamenti al disegno di legge 1766 (conversione in legge del decreto-legge “Cura Italia”) i quali, secondo gli autori, dovevano servire a tutelare gli operatori sanitarie da ingiuste azioni legali.

 

Per esplicitare la nostra posizione, abbiamo deciso di pubblicare il Comunicato stampa dell’Ordine dei medici di Bologna, che si affianca a quello degli Ordini dei medici della Sardegna, e che esprime la sacrosanta indignazione rispetto ad una situazione intollerabile ed indifendibile. Su questa delicata  materia abbiamo chiesto il parere di un esperto.




ORDINE PROVINCIALE DEI MEDICI CHIRURGHI E DEGLI ODONTOIATRI DI BOLOGNA

Bologna, 6 aprile 2020

Comunicato stampa

II Consiglio Direttivo delI’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della provincia ci Bologna aderisce e fa proprio il comunicato degli Ordini dei Medici della Sardegna qui di seguito riportato –
“Gli ordinal dei medici chirurghi e odontoiatri delle province di Cagliari, Nuoro, Oristano e Sassari, esprimono grande preoccupazione e disappunto per quanta sta accadendo in riferimento agli emendamenti che si stanno presentando in Senato al Decreto Curaitalia, in particolare mode per le immunità che si stanno cercando di adottare a favoes delle strutture sanitarie “in caso di danni agli operatori”.

“Proposte crudeli e offensive che offendono la dignità degli operatori tutti, medici e infermieri per primi” e di concerto con tutti gli altri Ordini italiani chiedono it ritiro degli emendamenti presentati.
A ieri erano 77 i medici morti in Italia a cause del COVID 19. Solo in Piemonte oltre 60 song ricoverati in condizioni serie. Dei medici risultati positivi al COVID 19 Si e perso ormai il clnto, ma si stima che il 15% degli operatori sia stato contagiato.
A fronte di questi dati, nella discussione al Senato sulla conversione in legge del decreto CuraItalia (il dl n.18 del 17 marzo) sono stati presentati degli emendamenti che prevedono Una sostanziale immunità per le strutture sanitarie e per i soggetti preposti alla gestione della crisi sanitaria, in riferimento agli avventi avversi accaduti durante la pandemia da COVID 19 e in particolare “in caso di danni agli operatori”.
Gli emendamenti, con sfumature diverse in base al proponente, sostengono tutti lo stesso concerto: <>. I proponenti sono esponenti delle forze di governo e di opposizione.

Dunque nessuna colpa se i DPI non sono arrivati, se i tamponi non si sono potuti fare, se i respiratori e i caschi non sono stati forniti in numero sufficiente, se la gravità dell’epidemia é state sottostimata, se l’organizzazione e state incapace, incerta, Ienta e lacunosa. Nessuno può indagare. Noi medici sano stati definiti eroi che devono Iavorare con abnegazione e spirito di servizio, e tanto basta.
Si piangono i pazienti, ma non si potrà́ verificare se i sanitari sono stati messi nelle condizioni di curare con tutti gli strumenti possibili. E se sono stati tutelati o mandati ad ammalarsi nell’esercizio della Ioro professione.
Questi emendamenti sono crudeli, sprezzanti e offensivi per una categoria che sta lavorando e combattendo a mani nude, emendamenti inaccettabili in uno Stato di Diritto. Gli Ordini dei medici della Sardegna chiedono ai proponenti il ritiro immediate di quanto presentato, chiedono Ie loro scuse agli operatori tutti e al Paese per aver pensato di assolvere a priori Ie strutture sanitarie e ee istituzioni che avevano la responsabilità e il dovere di tutelarli tutti. Tutta l’ltalia é al nostro fianco”.




Perché l’emendamento sull’esonero della responsabilità del personale sanitario nell’attuale contesto epidemico non è favorevole agli operatori sanitari, ma anzi peggiora l’attuale impianto normativo allo stato assai più favorevole



  1. L’assetto della responsabilità sanitaria in Italia è stato recentemente modificato per effetto della Legge 8 marzo 2017 n. 24, nota come Legge Gelli-Bianco, una Legge frutto dell’iniziativa del Parlamento e che ha visto il contributo di tutte le forze politiche nei due rami.

 

  1. La legge in questione non corrode il principio di colpevolezza, ma, in ambito penale, introduce una clausola di non punibilità per l’operatore che abbia provocato la lesione o la morte di un suo assistito, indipendentemente dal grado della colpa.

 

  1. Se non c’è la pena, non c’è il reato: questo al di là della dimensione anche grossolana dell’eventuale errore professionale.

 

  1. Questo fece delle professioni sanitarie una categoria di privilegiati? Nemmeno per sogno. C’è sempre un prezzo da pagare nel bilanciamento di interessi che è il perno su cui regge la nostra Carta Costituzionale: se a questi cittadini che nell’esercizio della propria professione commettano un errore anche pesante la comunità non commina sanzioni, è perché a quegli stessi cittadini la comunità chiede una cosa in cambio, seguire le regole imposte dall’ISS e dall’Osservatorio di Agenas. Unico caso di una professione intellettuale con autonomia vincolata, fatta eccezione per eventuali specificità del caso concreto.

 

  1. Se un medico, un infermiere, un tecnico nell’eseguire una prestazione si attiene alle Linee Guida emanate dall’ISS (o dal Ministero) o, in assenza di queste, alle buone pratiche riconosciute dall’Osservatorio (o dal Ministero) e però incorre in un errore per imperizia (nell’applicarle o nello sceglierle) non è punibile.

 

  1. È peraltro evidente che in un siffatto schema un operatore sanitario che si sia attenuto alle LLGG o alle buone pratiche predette non potrà mai essere rimproverato di negligenza (come potrebbe? Ha obbedito!) né di imprudenza (essendo quelle LG il distillato del meglio delle conoscenze, per di più bollinate a livello ministeriale o comunque di un organo tecnico terzo).

 

  1. La Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha provato a smontare l’impianto appena esposto ma lo ha fatto con una sentenza che, recuperando la vecchia impostazione, voluta dal Legislatore Balduzzi (per iniziativa governativa, non parlamentare), ha resuscitato la distinzione tra “colpa grave” e “colpa lieve”, derivata da una rilettura dell’art. 2236 c.c., giudicata coerente con l’assetto costituzionale nel 1973, che però guardava ad una professione intellettuale rischiosa, ma ancora libera, autonoma, non vincolata.

 

  1. Cass Pen IV sez ha compreso che la revisione operata dalle Sezioni Unite tradiva lo spirito del Legislatore parlamentare e ha ritenuto, condivisibilmente, che i principi delle Sezioni Unite andassero applicati in tutti quei casi in cui non fosse possibile inverare la disciplina della Legge Gelli Bianco per assenza di linee guida o buone pratiche ritualmente codificate.

 

  1. Quindi, ricapitolando, allo stato attuale gli operatori sanitari sono tutelati attraverso: a) l’esonero di responsabilità per colpa lieve, sia che si tratti di errore per imperizia o per negligenza (e finanche imprudenza), attraverso i principi della cd. Riforma Balduzzi e della Suprema Corte a Sezioni Unite, quando abbiano agito seguendo indicazioni non codificate dal Ministero, dall’ISS o da Agenas, ma solo presenti in letteratura scientifica; b) la non punibilità di qualsiasi imperizia, anche grave, quando però abbiano eseguito prestazione aderendo scrupolosamente alle indicazioni emanate dall’ISS o dall’Osservatorio o comunque dal Ministero.

 

Da questa lunga esposizione si può capire che nell’attuale contesto epidemico gli operatori sanitari si sono trovati a prestare assistenza sulla base di direttive emanate da ISS e Ministero, che hanno stabilito non solo quali dispositivi di protezione individuale adoperare e quali no, quando applicarle e quando no e per quanto tempo, dove adottarle e dove no, ma anche chi ricoverare e chi no, quali attività interrompere e quali no, a chi fare i tamponi e a chi non farli, che Terapie attuare e in che forme, quali ospedali convertire in centri dedicati e quali no, quali mantenere ibridi ma con percorsi dedicati e quali no. E quando, per specifici e delicati ambiti, come ad esempio per le scelte di sostegno intensivo, a fronte di carenza di risorse, si è stati costretti a compiere scelte dolorosissime, anche in quei casi le indicazioni emanate dalle Società Scientifiche accreditate presso il Ministero sono state riconosciute come buone pratiche assistenziali.

 

Se c’è un ambito in cui la Legge Gelli può operare in maniera efficace come avrebbe voluto che avvenisse il Legislatore Parlamentare quando la produsse è proprio quello del contesto epidemico attuale, dove la non punibilità, che è concetto assai più forte e democratico dell’esonero di responsabilità per colpa, potrà agire in maniera per così dire automatica, proteggendo medici, infermieri e tecnici da eventuali recriminazioni di terzi.

 

Allora a che serve reintrodurre il vecchio archibugio della colpa grave?

 

Serve a proteggere gli operatori sanitari che lavorano nel pubblico e nel privato accreditato dall’azione della Corte dei Conti?

 

Neanche questo è vero: già la Legge Gelli lo afferma all’art. 5, all’art. 7 comma 3 e all’art. 9 comma 5. Se un operatore sanitario si è attenuto alle buone pratiche o alle linee guida prima dette non può temere la Corte dei Conti, il cui intervento sanzionatorio peraltro non può eccedere il triplo della retribuzione annua ed è certamente coperto dall’assicurazione accesa obbligatoriamente dal professionista.

 

Allora, se l’attuale assetto normativo editato dalla Legge Gelli è già ampiamente tutelante, a che serve questo pastrocchio?

 

A due obiettivi.

 

Il primo: addossare sul mondo dei professionisti della sanità responsabilità che non sono loro, facendo passare l’idea di proteggerli ed invece comprimendoli di una concessione che era stata loro riconosciuta dal Parlamento. Affermare che il medico risponde per colpa grave quando si è discostato dai “protocolli o programmi emergenziali predisposti per fronteggiare la situazione in essere” equivale a dire che quei protocolli sono un dogma inviolabile e che la sola colpa consiste nell’averli disapplicati in maniera macroscopica. Diverso è invece riconoscere la non punibilità di chi si è attenuto a discipline codificate che però potrebbero essere quelle sì tutt’altro che perfette.

 

Il secondo: introdurre un salvacondotto per chi operatore sanitario non è. E non mi riferisco qui ad amministratori o direttori generali che nell’attuale contingenza si sono trovati anche loro ad assumere scelte sostanzialmente obbligate, attratti, come in effetti sono stati, dalle medesime indicazioni normative dettate agli operatori sanitari e irregimentati nei canali di distribuzione di forniture di dispositivi e medicinali inutilmente irrigiditi dalle logiche di parsimoniosa razionalizzazione legate alla solita “scarsità delle risorse” (ma allora… galeotti i piani per le emergenze epidemiche e chi li scrisse?).

 

No, qui mi riferisco agli amministratori che negli anni passati hanno posto il SSN nelle condizioni di ristrettezze con cui si è trovato ad affrontare la contingenza epidemica e alle soluzioni organizzative e strategiche adottate a livello centrale e periferico all’inizio della crisi e nel suo prosieguo allo scopo di guidare gli operatori sanitari sul campo (ed i loro amministratori) nella gestione del teatro epidemico.

 

Ecco: a loro è rivolto questo ombrello che, nella logica tipicamente eurista della scarsità delle risorse, doveva necessariamente essere realizzato ridimensionando ombrelli precedentemente realizzati a beneficio di cittadini la cui libertà professionale si era però ritenuto di comprimere in nome dell’appropriatezza.

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