Contro la mondializzazione

La globalizzazione è la trappola più efficace creata dal capitalismo. E’ la massificazione della subcultura mondiale.

La “Mondializzazione imperialistica”, come la chiamava C.Preve, cogliendone esattamente la portata e la gravità, è un fenomeno che abbiamo iniziato a conoscere davvero solo a partire dagli anni novanta quando si è cominciato a capire che la globalizzazione dei mercati, appena iniziata, avrebbe portato “ad una dittatura incontrastata dell’economia”. Era necessario aumentare il profitto, per farlo sono state adottate diverse strategie che permettessero di abbassare i costi di produzione: creare nuovi mercati, quindi dislocare, aumentare la competizione, quindi far scendere i salari.

I mercati emergenti, orientali e no, sono paesi in cui le condizioni di vita sono così basse da permettere di trovare manodopera a salari impensabili in un qualsiasi paese europeo. Sono luoghi in cui il degrado culturale e sociale è tale da consentire uno sfruttamento totale, la mercificazione al suo massimo grado, l’individuo ridotto a nulla e che non ha alcun valore, se non in quanto merce: nessuno si salva, neanche i bambini, alla faccia della Convenzione sui diritti dell’infanzia e di tutte le ONG che giocano a difendere l’umanità

Abbassare i salari, almeno in Italia, ha richiesto uno sforzo maggiore e più dilatato nel tempo, ci hanno impiegato decenni ma ci sono riusciti: l’abolizione dell’art.18 ed il Job Act ne sono solo due recenti esempi concreti; ma occorreva qualcosa di più efficacie per distruggere totalmente ogni residua resistenza. Era necessario importare manodopera a costo zero, orizzontalizzare il conflitto e distrarre l’attenzione della sinistra, quando ancora esisteva ed aveva un senso, verso nuove mirabolanti forme di mobilizzazione.

Il grosso del lavoro era già posto in essere, il resto son varianti in corso d’opera.

La globalizzazione ipercapitalistica ha bisogno di una religione di massa, e questa religione di massa è l’onnipotenza dell’economia. I nuovi idoli sono gli indici di borsa… Le nuove cerimonie religiose sono officiate da mezzibusti televisivi sorridenti che si consultano con economisti che ripetono solenni parole in inglese.

Costanzo Preve da Nazione italiana, Europa, Mediterraneo, 1998

Era altrettanto chiaro che questa dittatura incontrastata, che ha come unico parametro di giudizio quello economico di scambio, avrebbe esteso l’accezione semantica del termine ad altri ambiti, principalmente quello sociale e culturale. Questa è la vera catastrofe, il punto di non ritorno.

Ogni paese ha una sua storia, un proprio sviluppo culturale, sociale e politico determinato da fattori peculiari, da lotte, da trasformazioni cruente o meno, le influenze culturali si determinano e si sono determinate, nello scorrere di millenni, per prossimità, per scambio. Questo è, storicamente, quello che si intende per multiculturalismo. Se il fenomeno di contaminazione viene provocato artificialmente, se viene deciso e pianificato, allora, siamo di fronte ad una scelta cosciente, ancorché scellerata, di distruzione totale, di diffusione della barbarie ed il risultato non è una crasi ma un’accozzaglia di nulla. Come si può parlare di scambio con la subcultura americana, con quella post-coloniale africana o, peggio ancora, con la parte più becera ed incolta dell’islam importato da queste masse insipienti che invadono le nostre periferie? Nessuno scambio culturale è possibile, siamo di fronte ad un meditato processo di colonizzazione del nulla.

La realizzazione di questo nulla necessitava una nuova generazione di esseri “umani” che fosse più facilmente malleabile e condizionabile. Per farlo era necessario sradicarli, globalizzarli ed omologarli. Il passo successivo è stato, conseguentemente, abbassare il livello culturale, agendo sull’educazione; si è iniziato con le università, la Riforma Ruberti andava proprio in tal senso, per poi procedere con le scuole di ogni ordine e grado che sono diventate contenitori di uniformizzazione del pensiero, finalizzati alla formazione di individui totalmente acritici: Berlinguer, Gelmini e Fedeli hanno iniziato l’opera e Bussetti si è occupato delle rifiniture ma non finirà con lui perché il degrado è sempre perfettibile.

Il progresso della “distruzione totale della storia” e della civiltà, aggiungo io, doveva essere, però, totale quindi niente poteva essere lasciato al caso.

In trent’anni hanno fatto in modo che gli uomini credessero di aver bisogno delle stesse cose, avessero gli stessi valori, gli stessi gusti, gli stessi desideri, gli stessi obiettivi: le peculiarità culturali sono state azzerate ed Il consumismo è stato uniformato e mondializzato.

Le catene di negozi, che vendono gli stessi prodotti a Parigi o a Tokio, sono solo l’epifenomeno di una standardizzazione profonda che ha portato, nazioni con una cultura culinaria immensa come Francia ed Italia, a consumare la spazzatura prodotta da McDonald o Starbucks e, questa stessa logica, fa acquistare un SUV ad un idiota che vive in una cittadina medioevale dell’Umbria in cui le strade erano fatte per lasciar passare una carrozza.

Il fine è quello di essere trasformati in un branco di pecore, sempre in aumento, che consuma spasmodicamente la stessa merce, che ascolta la stessa musica, che legge gli stessi libri;, quando legge, che vuole trovare, ovunque, le stesse cose, che va nei Sushi bar, ignorando cosa sia la meravigliosa arte della cucina giapponese, perché deve essere attratta dall’abbuffarsi come maiali all’ingrasso, con l’All you can eat!

Le élites neoliberali vogliono un’orda di poveri imbecilli, incolta, priva di radici e disperatamente sola, rimbambita dalla virtualità dei social media, che scambia per la realtà. Ecco come si arriva al paradosso di tanti esseri umani trasformati in bestie e come bestie al macello, in coda, per ore, per acquistare, per prime, un paio di miserabili scarpe da ginnastica o un telefonino come fosse qualcosa di unico ed irripetibile, semplicemente perché questo gli hanno fatto credere, questo gli hanno fornito come valore supremo. Già pronti per il transumano, per i microchip, già uniformati ai desiderata del Capitale.

Animali d’allevamento, privi di gusto o di un punto di vista personale, impossibile da sviluppare se non adeguatamente stimolato, tutti uguali, come tanti inutili ed ignari soldatini, proni al volere del Grande Fratello, al “thought control”. L’esatta messa in atto dello spettro paventato in The Wall.

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